Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

mercoledì 16 novembre 2011

12/06/2011: Passo Gavia (2621 metri alt.) da Ponte di Legno - Lombardia (km 35 – 1300 metri dislivello in bici da corsa)


Gli inviti improvvisi di Beppe mi gettano sempre nello scompiglio più totale, ma nello stesso tempo mi divertono un mondo. Il marrano l’ha capito e si diverte a vedermi in preda al panico organizzativo. Capita così che mi chiami all’alba, quando magari sono in procinto di uscire in bici, per dirmi: “Dove sei? Passo a prenderti tra mezz’ora ... andiamo a fare il Colle del Melogno ... il Passo San Marco ..., ecc.”. A volte lo dice solo per prendermi in giro, a volte fa sul serio, ma il mio neurone, nel dubbio, entra subito in fermento. Del resto le cose nate così, all’ultimo minuto, senza pensarci troppo, sono quelle che riescono meglio, anche se ciò comporta buttare all’aria i programmi già predisposti per quel giorno. In fondo io sono dell’idea che le occasioni vadano colte al volo e le proposte di Beppe sono sempre allettanti. Per fortuna questa volta l’invito arriva il sabato sera, così ho un po’ più di tempo per i preparativi. Me l’aveva promesso tempo fa che, non appena avessero aperto il Passo Gavia, l’avremmo scalato insieme e non se ne è dimenticato. Mi piacciono le persone concrete e che non parlano a vanvera. Visto che l’idea è sua, lascio a lui ogni decisione. Partenza alle 9 e arrivo a Ponte di Legno alle 11. Due passi nel centro storico, un caffè, ma non in un bar qualsiasi. Beppe sceglie sempre il meglio ed il caffè si beve al bar che si trova proprio alla confluenza dei due torrenti, il Frigidolfo che giunge dal Parco dello Stelvio ed il Narcanello, che proviene dal ghiacciaio Presena, e che, unendosi, danno origine al fiume Oglio. Attendo, seduta su una panchina, che Beppe spedisca via MMS le foto che ha scattato ed i relativi messaggi ad amici e parenti, lasciandomi riscaldare dai raggi del sole. E’ quasi l’una quando Beppe mi sveglia dal mio torpore. Pronti, si parte alla conquista del mostro. Mentre raggiungiamo in macchina il grande parcheggio ai piedi del Gavia, Beppe mi racconta alcuni atroci aneddoti su questa salita da leggenda e mi esorta a non mollare nel caso ci imbattessimo in un tempo da tregenda, elencandomi tutta una serie di tragiche conseguenze. Puntando l’indice verso un angolo della valle, dove il cielo bigio e le nuvole nere e minacciose che nascondono le montagne non presagiscono niente di buono, il caro Beppe mi dice “Ecco, noi dobbiamo andare proprio là”. Se fino a pochi istanti fa mi sentivo tutto sommato tranquilla e pronta ad affrontare la lunga scalata, adesso sono in preda ad un’angoscia schiacciante, che mi inonda di pensieri funesti. Non oso nemmeno accennare ad una eventuale ritirata. Beppe è stato chiaro, è venuto fin qui per me, per il mio battesimo del Gavia, perché lui l’ha già scalato decine di volte. Vabbè ... se s'ha da fare, si fa. Mi cambio in macchina e indosso una salopette lunga, una maglietta a mezze maniche termica e copriscarpe impermeabili, tenendo a pronta disposizione una maglia a maniche lunghe felpata e il k-way in caso di peggioramento del tempo. Nello zainetto metto il ricambio e un giubbetto invernale. Beppe indossa soltanto calzoncini e maglietta, infilando tutto il resto nello zaino. La scelta dell’abbigliamento è importante: implica un profondo, minuzioso ragionamento e la buona riuscita di un lungo giro in bici o una scalata in alta quota a piedi, dipende anche da questo fattore. Alè, si parte! Con il cuore in tumulto, ma ben determinata ad affrontare con coraggio ogni avversità meteorologica, mi avvio verso il mio destino. Neanche un chilometro e Beppe si ricorda di aver dimenticato il suo berrettino; ritorna alla macchina, mentre io continuo a salire lentamente nell’attesa che mi raggiunga. Per ora il sole resiste e accende di luce i fiori, gli alberi, l’acqua del torrente. I primi 5 km fino a Sant’Apollonia sono facili e servono giusto per scaldare i muscoli. All’improvviso vedo una massa scura e indistinta scendere al trotto dalla strada. Un cavallo? Una mucca? Ecco, si avvicina, mi punta. Ma è un toro! Sento il sangue ghiacciarsi nelle vene. L’unico, stupido e assurdo pensiero va al mio zainetto rosso, che in questo momento mi brucia sulla schiena, manco fosse il drappo scarlatto nelle mani di un torero. Mai come in questo momento accolgo con gioia e sollievo il sopraggiungere del buon Beppe, che mi tranquillizza: qui, è normale imbattersi in questi animali, ma non fanno nulla. In effetti il bestione continua indifferente la sua corsa. Nel frattempo il cielo si è repentinamente coperto. In men che non si dica inizia a diluviare e a fare freddo. Indosso velocemente felpa e k-way. Beppe improvvisa uno spogliarello sul ciglio della strada ed è dispiaciuto per la mia attesa. Gli dico di non preoccuparsi: a questo punto che importa perdere qualche minuto sotto la pioggia, dato che mancano ancora 12 lunghi, duri km alla nostra meta? Mi chiedo soltanto come sarà arrivare ai 2600 metri di quota con gambe e mani fradice. Subito dopo Sant’Apollonia la strada si restringe e s’impenna subito al 14-15%. Intorno a noi solo nuvole basse; riesco giusto a scorgere ciò che sta ai lati della strada. Procedo a testa bassa, con rivoli di pioggia che scendono dal casco davanti ai miei occhi. Beppe pedala qualche metro avanti; ogni tanto si gira e mi chiede premuroso se va tutto bene. Per fortuna, poco dopo, la pendenza si riduce e posso prendere il mio passo tranquillo e regolare. Anche la pioggia cessa o quasi. Guardo sul Garmin i chilometri che si susseguono uno dopo l’altro. Tutto sommato sto bene, ma aspetto con un po’ di apprensione gli ultimi due chilometri dopo la galleria: pare siano spietati e l’altitudine aggraverà la situazione. Ricomincia a piovigginare proprio prima del tunnel. Beppe vuol fermare un’autovettura perché ci scorti all’interno del budello, lungo circa un chilometro, privo di illuminazione e con una pendenza intorno al 9-10%. Purtroppo ci siamo dimenticati entrambi di portare i faretti. In questi casi esce la mia natura timida e schiva. La sua proposta non mi entusiasma; sicuramente nessun automobilista si rifiuterebbe di aiutarci, ma a me pesa. Così entriamo, cercando di mantenerci vicino ai piccoli specchietti rifrangenti posti sulla parete alla nostra destra, ma purtroppo un po’ distanti l’uno dall’altro. Mantenere l’equilibrio non è facile, visto che non ci sono nemmeno le strisce bianche sull’asfalto a dare un’indicazione di dove ci si trovi. 

A peggiorare la situazione una leggera curva che impedisce di vedere la fine della galleria. Sottopongo gli occhi ad uno sforzo sovrumano e piano piano mi abituo all’oscurità. Un rumore assordante, ci supera una moto; seguiamo il suo fascio di luce, ma dura poco. Quando si allontana è peggio di prima, perdo quel minimo di percezione visiva che avevo e ripiombiamo nel buio che più buio non si può, vagando nel nulla. Finalmente scorgo in lontananza una piccola luce; la punto come un rapace punta la sua preda, la vedo ingrandirsi man mano che mi avvicino. Ecco, sono fuori, sana e salva, ma per quanto? Dov’è quel muro insormontabile tanto temuto? Prendo a raccolta tutte le mie residue forze, pronta a fronteggiarlo. Ce la farò? L’ansia aumenta mentre procedo e aspetto il momento fatidico, centellinando ogni energia, finchè alzo gli occhi e vedo il rifugio. Sono incredula! Non posso aver sbagliato strada, non ce ne sono altre! Chiedo lumi a Beppe. Sì, i due chilometri “spietati”, che mi hanno tenuto in apprensione per tutto il percorso, li ho appena superati. Che sollievo! Facciamo qualche foto ed entriamo nel rifugio per cambiarci e mangiare un tagliere di formaggio e bresaola.
E’ ormai tardo pomeriggio quando usciamo dal rifugio, ben coperti e pronti per affrontare la lunga discesa. Sorprendentemente il cielo si sta squarciando e si intravede l’azzurro del cielo. A poco a poco anche il sole fa capolino fra le nuvole e il paesaggio circostante cambia completamente aspetto. La luce calda della sera ha un effetto rilassante e mi induce a canticchiare mentre scendo tranquilla. Adesso posso ammirare lo scenario lunare d’alta quota, le montagne innevate, i boschi e i pascoli. Beppe stavolta ha fermato una macchina che ci consente, col suo fascio di luce, di superare la galleria in sicurezza e in pochi secondi. Un grazie di cuore al mio amico, uno dei pochi che mantiene sempre la parola data e che mi è sempre vicino nei momenti difficili della vita.




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