Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

mercoledì 30 novembre 2011

29/06/2011: anello Passo Fedaia - Passo Pordoi - Passo Falzarego (km 90 – 2400 metri di dislivello in bici da corsa) Dolomiti


(Caprile – Passo Fedaia – Canazei - Passo Pordoi – Arabba – Passo Falzarego – Caprile)

 

Lo so, è ridicolo passare una notte in bianco a causa di una salita, ma non posso farci nulla: il Fedaia mi fa paura, così come mi fanno paura il Mortirolo e lo Zoncolan. Però, ne sono anche attratta. Perciò, dopo un’abbondante colazione ipercalorica, si parte alla conquista del Passo: io piena di timore, il mio compagno d’avventura tutto bello rilassato. Vorrei avere la sua tranquillità, ma le voci che circolano sul Fedaia non hanno fatto altro che alimentare il mio terrore. Non sono i 13,7 km e 1.059 metri di dislivello a spaventarmi, ma le pendenze, che raggiungono la punta massima del 18% proprio negli ultimi 6 km, nonchè l'impossibilità di trovare dei punti in cui si possa riprendere fiato e recuperare. D’accordo che spesso e volentieri si fa del falso terrorismo, ma se questa volta non fosse così? Vabbè, alla peggio, posso scendere dalla bici e farla a piedi. C’è sempre una prima volta. La salita arriva quasi subito, dopo l'ampio curvone a sinistra, ma i primi 5-6 km sono facili, a parte un paio di brevi strappi. Superiamo Rocca Pietore e, giunti a Plan, procediamo a sinistra, sulla vecchia strada, fino a Sottoguda, lasciando la statale alla nostra destra. Sono emozionata, tra poco m'infilerò nei Serrai, una gola spettacolare, unica al mondo, caratterizzata da pareti alte fino a 60 metri e poco distanti l’una dall’altra. Una delle ragioni per le quali desideravo tanto salire al Fedaia era appunto quella di passare attraverso questa feritoia della montagna, che avevo visto in TV durante le riprese del Giro d’Italia. Un luogo davvero suggestivo e magico; che meraviglia!

I Serrai di Sottoguda






A malincuore abbandoniamo questo incanto. Già all'interno della gola la salita cominciava a farsi sentire, ma, all'uscita, la pendenza si fa davvero seria. Dopo circa un chilometro e mezzo raggiungiamo la Malga Ciapela, dove la strada dei Serrai si ricongiunge alla statale e da dove partono gli impianti di risalita diretti alla Marmolada.
Da qui dovrebbero iniziare i 6 km assassini. Ormai ci siamo. Infatti la strada incomincia ad inclinarsi paurosamente. Ce la farò, non ce la farò? Un km al 12% per raggiungere la baita Dovich, un paio di Km al 11,2% per arrivare alla Capanna Bill. A rendere impegnativo questo tratto non è soltanto la pendenza, ma anche l’assoluta mancanza di curve: tra la Malga Ciapela e la Capanna Bill c’è un interminabile, odioso rettilineo ed è proprio qui che si tocca la pendenza massima del 18%. Si dice che percorrendo questa strada in discesa, senza toccare i freni, si possano raggiungere i 100 Km orari. Sfortuna vuole che inizi pure a soffiare un forte vento, ovviamente contrario. Ci mancava solo questo! Ma perché proprio oggi? La mia preoccupazione aumenta. Se prima conservavo dentro di me una minuscola speranza di farcela, adesso la situazione comincia a diventare disperata. Il panorama non mi sembra niente di straordinario, ma forse sono talmente sotto sforzo da non riuscire ad apprezzare quelle rare immagini che i miei occhi riescono a catturare qua e là durante le sporadiche volte in cui riesco a staccarli dall’asfalto. Spingo con forza sui pedali, le gambe mi fanno male, ma vado avanti, piano piano. Incredibile, ho ancora il fiato per salutare due ciclisti che mi superano e per fare una battuta stupida.
Dopo la Capanna Bill iniziano i tornanti, ma non cambiano le pendenze, che rimangono elevate anche in questo tratto: fino alla vetta ci sono 2,5 Km di strada caratterizzati da una pendenza media dell'11% e da una punta al 15%. C’è persino un pannello stradale che premurosamente me lo fa notare, come se ce ne fosse bisogno! Improvvisamente riemergo dal mio stato di trance; sento delle voci, intravedo un edificio. Che succede? Dove sono? La strada spiana. Cerco con lo sguardo un'altra via che sale: non posso essere già arrivata!  Sfilo di fianco al cartello e leggo “Passo Fedaia”, ma ancora penso ad un errore. Faccio un giretto d'esplorazione. C’è soltanto una strada che scende dal versante opposto. Inutile negare l’evidenza: che io ci creda o no, sono arrivata al Passo. 



Dài, ci meritiamo un buon caffè; il mio compare anche una fetta di torta, visto che, oltre a non essere allenato, è salito pure con dei rapporti impossibili. Come abbia fatto, io proprio non lo so. Eh, ma è mica finita qui! Indossiamo il k-way e scendiamo dall’altra parte, costeggiando dapprima un laghetto artificiale e, poi, passando ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, maestoso e abbagliante alla luce del sole.

Il ghiacciaio della Marmolada

Spettacolare questa discesa che ci deposita a Canazei. Un veloce pieno di acqua alle borracce e, poi, su di nuovo, verso il Passo Pordoi. Altri 13 km di salita, circa 800 metri di dislivello e 27 tornanti, ma al confronto della precedente sono una passeggiata e posso tranquillamente osservare il paesaggio, che è davvero una favola. 

Gruppo Sella 

Salita al Passo Pordoi

Ovunque una miriade di fiori, un’esplosione di colori e una gioia per gli occhi. C’è un po’ di traffico, ma, d’altra parte, il Pordoi fa parte del Sella Ronda, il classico giro dei quattro Passi che fanno tutti. Infatti, quando scolliniamo, troviamo una gran bolgia di auto, moto e pullman, niente a che vedere con il solitario e tranquillo Passo Fedaia. 



La fame a questo punto morde terribilmente. Ci fermiamo ad un bar per rifocillarci e per dare un’occhiata ad una cartina stradale appesa alla parete. Da qui ci sono due possibilità per scendere a Caprile e ritornare all’albergo, ma ce n’è anche una terza, che contempla una deviazione al Passo Falzarego. Una tentazione per me. Butto lì la mia proposta, aspettandomi quantomeno un accenno di protesta o un tentennamento da parte del mio compagno. Macchè! E' presto, si può fare. Evviva! C'involiamo verso Arabba, cercando di non fare la fine degli insetti sul parabrezza dei pullman che salgono con grande baldanza nel senso inverso. 

Il Sass Pordoi

Non ci sono parole per descrivere la bellezza del paesaggio che si apre davanti ai miei occhi mentre scendo, canticchiando, i 33 tornanti. Nell'anima, un'immensa sensazione di libertà, un'incontenibile voglia di volare.


La piramide dell'Antelao

Al crocevia, prendiamo la via a sinistra per affrontare gli ultimi 10 km di salita e i 600 metri di dislivello del Passo Falzarego. Strada tranquilla e non impegnativa. La luce calda del tardo pomeriggio, la pace che si respira qui, il nostro incedere regolare, le nostre chiacchiere rilassate … Vorrei poter continuare così all’infinito, ma forse ho chiesto troppo al mio paziente compagno, che comincia ad accusare un terribile dolore alla pianta del piede. Mancano ancora parecchi chilometri al Passo e non so se ce la farà a continuare. Ma lui è un uomo duro, di quelli che non mollano mai. Stoicamente va avanti, ignorando le fitte, ma soprattutto senza lamentarsi. Ammiro la sua capacità di sopportare in silenzio. Questi, sì, che sono Uomini! Ed è soprattutto in certe situazioni che si capisce quanto valgono. 




Eccoci finalmente al Passo, ai piedi del Monte Lagazuoi, all’interno del quale è stato scavato, durante la prima guerra mondiale, un lungo e stretto cammino che conduce all'omonimo rifugio, a 2.752 metri di quota. L’ho percorso a piedi un paio di anni fa con l’aiuto di una torcia; veramente adrenalinico!
Una sosta al passo per riposare le stanche membra e, poi, affrontiamo l'ultima discesa della giornata, 19 bellissimi chilometri in mezzo ai boschi e alle pinete fino a Caprile.
In conclusione: in tre giorni abbiamo macinato 261 km e accumulato 6.800 metri di dislivello; abbiamo pedalato ai piedi, ai fianchi e alle sommità di un numero considerevole di vette dolomitiche, soffrendo, gioendo ed emozionandoci dopo ogni conquista. E, se vogliamo mettere in conto anche la camminata da sogno di 21 km alla Forcella del Giau, la splendida passeggiata al Catinaccio Rosengarten, con vista sulle Torri del Vajolet e sul Gruppo Sella, la gita a Cortina con la scenografica visione del Monte Cristallo, possiamo dire di aver fatto quasi l’en plein di queste splendide Dolomiti, uniche al mondo e nostro tesoro inestimabile. Una vacanza memorabile, dove, una volta tanto, tutto, ma proprio tutto, è stato perfetto. A questo punto, non mi resta altro che ringraziare di cuore colui che le ha dato vita.


Panorama dalla Forcella del Giau

Catinaccio Rosengarten e Torri del Vajolet


Gruppo Sella


La piana di Cortina dal Passo Giau













venerdì 25 novembre 2011

27/06/2011: anello Pale di San Martino - Dolomiti (Veneto) - (km 100 – 2600 metri di dislivello in bici da corsa)

(Agordo - Cencenighe – Falcade – Passo Valles – Passo Rolle – Passo Cereda – Forcella Aurine – Agordo)


Un'altra splendida giornata di sole, cielo terso, azzurro, senza un baffo di nuvola ... l'animo ben disposto ad affrontare il giro programmato per oggi, che già sulla carta si preannuncia massacrante. Da Agordo, risaliamo la valle fino a Cencenighe. Dopo 9 km di falsopiano in leggera salita incontriamo, alla nostra sinistra, il bivio per Falcade. Da qui al Passo Valles ci dividono 20 km e 1259 metri di dislivello. Oltrepassato il paese, entriamo in una galleria dalla quale usciamo, dopo un chilometro, rintronati e irritati dal rumore, scoprendo, poi, con rammarico, che esisteva una via alternativa. Tratti di falsopiano si alternano a ripidi strappi fino a Falcade, dove facciamo una breve sosta per fotografare la bella chiesa parrocchiale.


Superato il centro abitato, affrontiamo un lungo tornante che dà l'avvio all'ascesa vera e propria. Altri due tornantoni e raggiungiamo il bivio: lasciamo alla nostra destra la strada che sale al Passo San Pellegrino e svoltiamo a sinistra, verso il Passo Valles. Abbiamo già percorso 13 km di salita, ma, da questo punto, iniziano i dolori: la carreggiata si restringe notevolmente ed i successivi 7 km sono formati da interminabili, logoranti, ripidi segmenti al 10-11%. La pineta non ci offre un centimetro di ombra, il sole, a quest’ora, è a picco e si abbatte inclemente su di noi. I nostri sorrisi si spengono via via che saliamo di quota e il mio compare diventa stranamente taciturno. Chissà cosa sta passando nella sua testa! Procediamo in silenzio, ognuno chiuso nei propri pensieri.


L'arrivo al Passo è un gran sollievo; questa salita mi ha distrutta. Ordiniamo un paio di panini al rifugio e ci accomodiamo fuori in terrazza: ho proprio bisogno di recuperare un po' di energia. Il giro è ancora lungo e non sappiamo cosa ci aspetta. Dopo le foto di rito, rimontiamo in sella e scendiamo dal versante opposto. La strada è stretta e ripida, ma, dopo pochi chilometri, arriviamo ad un bivio: a destra si perviene a Paneveggio e a Predazzo, in Val di Fiemme; noi, invece, giriamo a sinistra per salire al Passo Rolle. 6,5 km davvero dolci ed è una fortuna, perché le gambe risentono ancora della salita appena affrontata e i numerosi, brevi tratti all’ombra concedono un po’ di sollievo. I cartelli a bordo strada segnano lo scorrere dei chilometri e il Passo stavolta arriva abbastanza velocemente.


Ci fermiamo al rifugio per bere qualcosa di fresco. Oggi il caldo è impressionante e la sete non ci dà tregua. Il panorama da quassù, però, è meraviglioso e, al cospetto delle maestose Pale di San Martino, iniziamo una lunga, veloce discesa che ci porterà, dapprima a San Martino di Castrozza (dove non manchiamo di fare un'altra sosta per mangiare un gelato e bere un caffè),  poi, a Primiero, da cui inizia la salita al Passo Cereda, che si rivela un vero massacro per i garretti.


E’ davvero un’inaspettata e poco gradita sorpresa, ma dobbiamo rassegnarci. Se vogliamo ritornare ad Agordo dobbiamo per forza arrampicarci per quassù. Le prime rampe sono delle vere e proprie rasoiate nei muscoli, peraltro raffreddati dalla lunga discesa; poi, innestiamo la ridotta da carro funebre e, passettino dopo passettino, centellinando ogni residua energia, raggiungiamo il Passo. Sorrido all’esclamazione di delusione del mio compagno, il quale, giustamente, osserva che i 1369 metri di quota non valevano tanta sofferenza. 


Quando scolliniamo, le ombre sono ormai allungate, ma ci concediamo un'ultima sosta al rifugio per dissetarci. Non abbiamo fretta, il bello di questa vacanza è che non ci sono orari da rispettare. Chiediamo informazioni circa la via più breve per Agordo. Ci spiegano che abbiamo due alternative: una via diretta e veloce oppure un’altra che sale alla Forcella Aurine per 3-4 km e scende, poi, ad Agordo. Due persone sensate avrebbero scelto la prima soluzione, ma siccome noi abbiamo soltanto una vaga idea di quello che sia il buon senso, optiamo masochisticamente per la seconda soluzione. E allora via in discesa, senza ulteriori indugi, fino a Gosaldo e poi di nuovo su, verso il cielo. La sofferenza, però, dura poco, perché, dopo un primo strappetto, la pendenza si assesta su un comodo 4-5% e lo scollinamento arriva senza troppa fatica. Un tratto in falsopiano e, finalmente, ci lanciamo negli ultimi chilometri di discesa. 


Il sole sta tramontando e tinge di rosa le rocce dolomitiche di fronte a noi, creando un’atmosfera magica e surreale. E’ una visione spettacolare, meritato premio per un giro piuttosto impegnativo di 100 km tondi tondi, 2600 metri di dislivello e 3 Passi. Complimenti e sincera ammirazione per il mio coraggioso o incosciente compagno di viaggio, che ha affrontato questo tour de force senza pensarci due volte e senza mai lamentarsi, pur avendo nelle gambe soltanto 150 km di allenamento. Semplicemente superbo!


martedì 22 novembre 2011

25/06/2011: anello Monte Civetta – Dolomiti (km 71 – 1800 metri dislivello in bici da corsa)


(Pescul - Selva di Cadore – Agordo – Passo Duran – Forcella Staulanza – Pescul)


Da Pescul, io e il mio compagno di avventura, scendiamo verso Santa Fosca e Selva di Cadore. Veloce tappa al supermercato per l’acquisto di viveri e sosta alla fontana per riempire le borracce. Ora non manca proprio nulla, nemmeno la voglia di pedalare. Al bivio, imbocchiamo la strada a sinistra che scende a Caprile. Non conosco assolutamente il percorso, pertanto si va un po’ allo sbaraglio. Mi sono fatta soltanto un’idea approssimativa della distanza e del dislivello. So che affronteremo il Passo Duran a quota 1601 metri e il Passo Staulanza a quota 1773 metri, che la prima salita è lunga 12,5 km con un dislivello di 992 metri e la seconda è lunga 12,6 km con un dislivello di 800 metri. L’importante è non distrarsi per non sbagliare strada e rischiare di andare fuori rotta, aggiungendo dislivello a dislivello, che già quello in preventivo per oggi basta e avanza. La discesa è infinita, ma non sento particolarmente freddo, seppur non indossi la mantellina. Ecco i primi scorci spettacolari che mi mandano in estasi. Che meraviglia! L’animo gioioso invoglia a fischiettare: mi sento spensierata e privilegiata per essere qui, in questo momento, in questa giornata radiosa, in questo luogo di rara bellezza, in compagnia di una persona di una simpatia unica. Cosa posso desiderare di più? Dopo circa 10 km arriviamo a Caprile, dove svoltiamo a sinistra verso Alleghe. Costeggiamo l'omonimo lago e continuiamo a scendere ancora per chilometri e chilometri, mentre una leggera inquietudine si impadronisce di noi. Tutto il dislivello che stiamo perdendo in discesa prima o poi dovremo recuperarlo in salita e, allora, saranno dolori; chissà se avremo ancora voglia di ridere e scherzare. Finalmente, dopo 23 km, ecco il cartello di Agordo e il bivio a sinistra per il Passo Duran. E adesso arriva il bello. Come faccio a concentrarmi se il mio compagno fa di tutto per farmi morire dal ridere? Eh no, questo è un colpo basso! Garantisco che affrontare una salita impegnativa, con pendenze a doppia cifra, piegata in due dalle risate, è un’impresa ardua. Prego il mio compagno di smetterla, cerco di pensare a qualcosa di triste, ma non c’è verso: quel briccone continua, lo fa apposta. Le gambe sono molli, cedono, non riesco a spingere sui pedali.



In qualche modo riesco, comunque, a raggiungere il Passo. C'è un'aria pungente quassù, ma non c’è posto all’interno del rifugio, perciò consumiamo velocemente la nostra merenda seduti su una panca all’esterno e poi ci fiondiamo in discesa, verso Dont. Al bivio svoltiamo a sinistra e iniziamo subito l'ascesa al Passo (o Forcella) Staulanza, una bella strada ampia e panoramica, che sale dolcemente tra il Monte Pelmo, a destra, e il Monte Civetta, a sinistra. 

Monte Pelmo

Monte Civetta
Il cielo, nel frattempo, si è un po’ annuvolato, il sole va e viene, ma la temperatura è gradevolissima, almeno fino al Passo, dove, purtroppo, siamo investiti brutalmente da un vento gelido che rende difficile persino infilarsi il k-way. Non è il caso di stare a trastullarci in questo posto. Due scatti veloci per immortalarci anche qui e, quindi, ci fiondiamo di nuovo giù, verso la Val Fiorentina, avendo di fronte a noi una scenografica visione di montagne tinte di rosso e di verde, alle quali tentiamo di dare un nome: la Croda Rossa e la Croda Verde, ma non ne siamo molto sicuri. Ma, poi, esiste una Croda Verde nelle Dolomiti?



Chissà perché, a questo punto, sono convinta che manchi ancora una caterva di chilometri per arrivare a destinazione; convinzione smentita dall’oste del bar-ristorante presso cui ci fermiamo per uno sfizioso spuntino a base di formaggio e marmellata di mele, il quale ci informa che mancano soltanto 3 km a Pescul. Ormai è quasi l’ora di cena e, vuoi per l’abilità dell’oste nel tentarci con succulenti manicaretti, vuoi che abbiamo la scusa di recuperare le calorie bruciate, vuoi che l’appetito vien mangiando, vuoi per l’atmosfera goliardica che si è creata, sta di fatto che disertiamo il triste menu dell’albergo a favore di questo decisamente più allettante. E così, dulcis in fundo, concludiamo la splendida giornata con una mega abbuffata: salumi, casoncelli e un sublime manzo all’olio "così tenero che si taglia con un grissino". Ovviamente non poteva mancare un “tiramisu” fatto in casa. E' proprio vero che il ciclismo, se fatto con passione e impegno, offre risultati che gratificano anche i palati degli sportivi più esigenti.








domenica 20 novembre 2011

19/06/2011: S. Antonio Abbandonato – Salmezza – Passo Zambla (km 176 – 3041 metri dislivello in bici da corsa)


TRACCIA GPS

(Grumello del Monte – Brembilla – Sant’Antonio Abbandonato – Zogno – Miragolo – Salmezze – Selvino – Aviatico – Oltre il Colle – Passo Zambla – Ponte Nossa – Gandino – Leffe – Valrossa – Ranzanico – Solto Collina – Sarnico – Grumello del Monte)

Il tratto di strada da Grumello a Sedrina è, secondo me, il più noioso in assoluto e i 32 km che separano i due centri non sono nemmeno pochi, ma, chiacchierando con Antonio, almeno il tempo passa più velocemente. Con il mio passo lento mattutino li copro in circa un’ora e mezza. Da Sedrina ci dirigiamo verso Brembilla e, poco prima del paese, seguiamo le indicazioni per Sant’Antonio Abbandonato. E’ una salita di soli 6 km, ma con un dislivello di 586 metri; una delle più dure che io conosca e ormai di salite posso dire di averne fatte parecchie. Già dai primi tornanti si capisce che non sarà per niente facile e, strada facendo, ci si rende conto che non molla mai, non concede respiro. La pendenza media è dell’8,7%, ma c’è da mettere in conto un tratto di circa 4 km dove la pendenza media è del 12%. E’ preferibile farla all’inizio del giro, quando le gambe sono ancora gagliarde, e va presa con una certa cautela, se non si vuole pregiudicare il resto dell’uscita in bici. A quest’ora è quasi tutta all’ombra, fresca e il panorama è davvero notevole, soprattutto dalla sommità del colle, dove non manchiamo di fare una sosta al bar per goderci una buona tazza di caffè. Scendiamo, quindi, dal versante opposto, verso Zogno e attraversiamo il paese, abbattendo tutti i santi del calendario sull’odioso acciottolato. Alla rotonda procediamo dritto verso Miragolo. Superato il ponte sul Brembo, giriamo a sinistra e poi subito a destra, imboccando la salita che, in circa 11 km abbastanza impegnativi, conduce al piccolo borgo. Anche qui le pendenze sono di tutto rispetto e non c’è molto margine per respirare, ma la strada è tranquilla, sale in mezzo ai boschi e ai prati fioriti, concedendo pure agli occhi, di tanto in tanto, di cogliere panorami più vasti e lontani. Al bivio ignoriamo le indicazioni per Miragolo San Marco e prendiamo la via alla nostra sinistra, leggermente in discesa. Procediamo per un paio di chilometri, fino al bivio per il Santuario della Madonna di Perello, che pure ignoriamo, continuando dritti, in salita, per Salmezza. La strada s’inerpica per circa 4 km al 9-10% ed è resa un po’ disagevole dall’asfalto grosso. Antonio piano piano acquista vantaggio e sparisce dalla mia vista. Come nelle due salite precedenti, oltre a noi, non c’è un’anima viva. Procedo tranquilla, senza affanno, tanto so che Antonio come al solito mi aspetterà alla piccola cappella dalla quale, tra l’altro, si gode un magnifico panorama a 180 gradi sulle Prealpi Orobie. Nel silenzio mi pare di percepire un leggero ansimare alle mie spalle. Sento una presenza che si avvicina, mi affianca, mi supera di poco. Ci guardiamo sorpresi: è un ciclista che indossa il mio stesso abbigliamento, ma non ci conosciamo. E’ l’occasione giusta per rimediare e, tra una chiacchiera e l’altra, scolliniamo. Raggiungiamo Antonio, che invece conosce Hiroshi e con il quale ci intratteniamo ancora qualche minuto a conversare. Poco dopo il nostro collega riparte. Pure noi ci rimettiamo subito in sella e scendiamo verso Selvino. Al bivio, come sempre, sbaglio strada e scendo verso il centro abitato di Salmezza; un pugno di case attraversato da una strada medievale che un tempo collegava la città di Bergamo con l’alta Val Brembana: la Via Mercatorum, un nome antico e affascinante, che racconta di viandanti, di carovane di muli carichi di merci, di osterie, di portici, di borghi sperduti divenuti importanti grazie a questi traffici. Non era una normale mulattiera, ma una strada larga oltre un metro e mezzo, con tanto di muretto di contenimento e canaletti di scolo per le acque piovane. Partiva da Nembro, in Val Seriana, saliva a Salmezza, scendeva a Selvino e, attraverso Aviatico e Dossena, raggiungeva la Val Brembana a Grumo, dopodiché risaliva a Cornello dei Tasso e ad Oneta. Era lunga 70 km e si manteneva per gran parte del percorso ad un’altezza superiore ai 1000 metri s.l.m. Oggi, purtroppo, alcuni tratti di questa strada sono stati asfaltati, ma è possibile percorrerla sia a piedi che in mountain bike, anche a tappe, visto che lungo il percorso non mancano i posti dove passare la notte. Si ha così la possibilità di visitare borghi storici come quello medievale di Camerata Cornello oppure la casa di Arlecchino ad Oneta, tappa finale dell’itinerario.  Chissà, magari un giorno lo farò! Intanto devo ritornare sui miei passi e rimediare alla mia sbadataggine. Salgo una breve rampa, al termine della quale ricomincia la discesa e dove trovo Antonio ad aspettarmi. Qui il mio amico mi saluta. Per lui è giunta l’ora di rientrare e, comunque, a Selvino le nostre strade si sarebbero in ogni caso divise: infatti lui scenderà a destra, verso Nembro, mentre io salirò a sinistra, verso Aviatico e il Passo Zambla. Il chilometro e mezzo di discesa da Salmezza a Selvino è ripidissimo, con una pendenza che arriva al 19-20%. All’incrocio con la provinciale giro a destra e poi a sinistra, seguendo le indicazioni per Aviatico. Mi vien male all’idea di affrontare la rampaccia all’uscita di Selvino: non più di 500 metri, ma durissimi e, a questo punto, le mie gambe sono già abbastanza provate dalle salite precedenti. Mi alzo sui pedali e cerco di non pensare alle stilettate nei garretti; dài, Manu, è corta, resisti, tra poco spiana. Ecco è finita. Mi accascio con sollievo sulla sella e approfitto della leggera discesa per recuperare. Mi piace questa strada panoramica che, sfiorando i fianchi del Monte Cornagera e del Monte Alben, raggiunge Serina in 12 km di saliscendi, dopo aver attraversato i due piccoli borghi di Trafficanti e Cornalba. Arrivo all’incrocio con la strada provinciale che sale da Ambra verso Serina e giro a destra per salire, prima ad Oltre il Colle e, poi, al Passo Zambla, che mette in comunicazione la Val Brembana con la Val Seriana. Questa strada è di solito trafficata e battuta soprattutto dai motociclisti. E’ ampia, a due corsie e, a parte i primi tre o quattro chilometri un po’ impegnativi, i successivi dieci sono pedalabili, intervallati da alcuni tratti pianeggianti. Si attraversano boschi, prati e pinete. Il panorama giustifica tutto questo via vai di auto e moto. Ovviamente non posso pretendere di essere l’unica ad avere il privilegio di godermelo. Ho percorso diverse volte questa strada, ma, non so se per sfortuna o per una caratteristica propria di questi luoghi, ho sempre trovato il cielo coperto e nuvole basse che nascondevano il paesaggio circostante. Oggi, invece, l’aria è limpida e posso ammirare in tutto il suo splendore il Pizzo Arera, che mi occhieggia dall’alto dei suoi 2500 metri di quota. Al Passo Zambla, oltre al Rifugio e ai vari sentieri che si diramano in ogni dove, c’è una bella fontana di acqua fresca, luogo ideale per rifocillarmi e recuperare un po’ di energia prima di lanciarmi nella lunga, veloce discesa che, in 14 km, mi deposita a valle, sulla strada che costeggia il fiume Serio. A sinistra si va a Clusone, a destra a Bergamo. Io giro a destra. Il traffico qui è davvero sostenuto e così decido, lì per lì, di tornare a casa passando per Gandino, Leffe e la Valrossa, anziché proseguire per Cene. Non posso, comunque, evitare di percorrere circa 5 km in mezzo alla baraonda. In questi casi l’istinto di sopravvivenza mi porta ad isolarmi dal resto del mondo. Mi concentro sui pochi metri di asfalto davanti a me, sulla musica, sui miei pensieri e, quando arrivo alla rotonda, l’aggiro, imboccando l’ultima via a sinistra che sale a Casnigo. Da qui alla Valrossa sono costretta a chiedere informazioni ai passanti; sbaglio strada un paio di volte, ma, alla fine, mi ritrovo all’incrocio con la strada che da Cene sale a Bianzano. Ormai non posso più sbagliare. Raggiungo Ranzanico, Endine, Solto Collina e Riva di Solto, costeggio il lago d’Iseo e, voilà, les jeux sont fait! Eccomi nuovamente a Grumello. Sana, salva e superaffamata.  

mercoledì 16 novembre 2011

12/06/2011: Passo Gavia (2621 metri alt.) da Ponte di Legno - Lombardia (km 35 – 1300 metri dislivello in bici da corsa)


Gli inviti improvvisi di Beppe mi gettano sempre nello scompiglio più totale, ma nello stesso tempo mi divertono un mondo. Il marrano l’ha capito e si diverte a vedermi in preda al panico organizzativo. Capita così che mi chiami all’alba, quando magari sono in procinto di uscire in bici, per dirmi: “Dove sei? Passo a prenderti tra mezz’ora ... andiamo a fare il Colle del Melogno ... il Passo San Marco ..., ecc.”. A volte lo dice solo per prendermi in giro, a volte fa sul serio, ma il mio neurone, nel dubbio, entra subito in fermento. Del resto le cose nate così, all’ultimo minuto, senza pensarci troppo, sono quelle che riescono meglio, anche se ciò comporta buttare all’aria i programmi già predisposti per quel giorno. In fondo io sono dell’idea che le occasioni vadano colte al volo e le proposte di Beppe sono sempre allettanti. Per fortuna questa volta l’invito arriva il sabato sera, così ho un po’ più di tempo per i preparativi. Me l’aveva promesso tempo fa che, non appena avessero aperto il Passo Gavia, l’avremmo scalato insieme e non se ne è dimenticato. Mi piacciono le persone concrete e che non parlano a vanvera. Visto che l’idea è sua, lascio a lui ogni decisione. Partenza alle 9 e arrivo a Ponte di Legno alle 11. Due passi nel centro storico, un caffè, ma non in un bar qualsiasi. Beppe sceglie sempre il meglio ed il caffè si beve al bar che si trova proprio alla confluenza dei due torrenti, il Frigidolfo che giunge dal Parco dello Stelvio ed il Narcanello, che proviene dal ghiacciaio Presena, e che, unendosi, danno origine al fiume Oglio. Attendo, seduta su una panchina, che Beppe spedisca via MMS le foto che ha scattato ed i relativi messaggi ad amici e parenti, lasciandomi riscaldare dai raggi del sole. E’ quasi l’una quando Beppe mi sveglia dal mio torpore. Pronti, si parte alla conquista del mostro. Mentre raggiungiamo in macchina il grande parcheggio ai piedi del Gavia, Beppe mi racconta alcuni atroci aneddoti su questa salita da leggenda e mi esorta a non mollare nel caso ci imbattessimo in un tempo da tregenda, elencandomi tutta una serie di tragiche conseguenze. Puntando l’indice verso un angolo della valle, dove il cielo bigio e le nuvole nere e minacciose che nascondono le montagne non presagiscono niente di buono, il caro Beppe mi dice “Ecco, noi dobbiamo andare proprio là”. Se fino a pochi istanti fa mi sentivo tutto sommato tranquilla e pronta ad affrontare la lunga scalata, adesso sono in preda ad un’angoscia schiacciante, che mi inonda di pensieri funesti. Non oso nemmeno accennare ad una eventuale ritirata. Beppe è stato chiaro, è venuto fin qui per me, per il mio battesimo del Gavia, perché lui l’ha già scalato decine di volte. Vabbè ... se s'ha da fare, si fa. Mi cambio in macchina e indosso una salopette lunga, una maglietta a mezze maniche termica e copriscarpe impermeabili, tenendo a pronta disposizione una maglia a maniche lunghe felpata e il k-way in caso di peggioramento del tempo. Nello zainetto metto il ricambio e un giubbetto invernale. Beppe indossa soltanto calzoncini e maglietta, infilando tutto il resto nello zaino. La scelta dell’abbigliamento è importante: implica un profondo, minuzioso ragionamento e la buona riuscita di un lungo giro in bici o una scalata in alta quota a piedi, dipende anche da questo fattore. Alè, si parte! Con il cuore in tumulto, ma ben determinata ad affrontare con coraggio ogni avversità meteorologica, mi avvio verso il mio destino. Neanche un chilometro e Beppe si ricorda di aver dimenticato il suo berrettino; ritorna alla macchina, mentre io continuo a salire lentamente nell’attesa che mi raggiunga. Per ora il sole resiste e accende di luce i fiori, gli alberi, l’acqua del torrente. I primi 5 km fino a Sant’Apollonia sono facili e servono giusto per scaldare i muscoli. All’improvviso vedo una massa scura e indistinta scendere al trotto dalla strada. Un cavallo? Una mucca? Ecco, si avvicina, mi punta. Ma è un toro! Sento il sangue ghiacciarsi nelle vene. L’unico, stupido e assurdo pensiero va al mio zainetto rosso, che in questo momento mi brucia sulla schiena, manco fosse il drappo scarlatto nelle mani di un torero. Mai come in questo momento accolgo con gioia e sollievo il sopraggiungere del buon Beppe, che mi tranquillizza: qui, è normale imbattersi in questi animali, ma non fanno nulla. In effetti il bestione continua indifferente la sua corsa. Nel frattempo il cielo si è repentinamente coperto. In men che non si dica inizia a diluviare e a fare freddo. Indosso velocemente felpa e k-way. Beppe improvvisa uno spogliarello sul ciglio della strada ed è dispiaciuto per la mia attesa. Gli dico di non preoccuparsi: a questo punto che importa perdere qualche minuto sotto la pioggia, dato che mancano ancora 12 lunghi, duri km alla nostra meta? Mi chiedo soltanto come sarà arrivare ai 2600 metri di quota con gambe e mani fradice. Subito dopo Sant’Apollonia la strada si restringe e s’impenna subito al 14-15%. Intorno a noi solo nuvole basse; riesco giusto a scorgere ciò che sta ai lati della strada. Procedo a testa bassa, con rivoli di pioggia che scendono dal casco davanti ai miei occhi. Beppe pedala qualche metro avanti; ogni tanto si gira e mi chiede premuroso se va tutto bene. Per fortuna, poco dopo, la pendenza si riduce e posso prendere il mio passo tranquillo e regolare. Anche la pioggia cessa o quasi. Guardo sul Garmin i chilometri che si susseguono uno dopo l’altro. Tutto sommato sto bene, ma aspetto con un po’ di apprensione gli ultimi due chilometri dopo la galleria: pare siano spietati e l’altitudine aggraverà la situazione. Ricomincia a piovigginare proprio prima del tunnel. Beppe vuol fermare un’autovettura perché ci scorti all’interno del budello, lungo circa un chilometro, privo di illuminazione e con una pendenza intorno al 9-10%. Purtroppo ci siamo dimenticati entrambi di portare i faretti. In questi casi esce la mia natura timida e schiva. La sua proposta non mi entusiasma; sicuramente nessun automobilista si rifiuterebbe di aiutarci, ma a me pesa. Così entriamo, cercando di mantenerci vicino ai piccoli specchietti rifrangenti posti sulla parete alla nostra destra, ma purtroppo un po’ distanti l’uno dall’altro. Mantenere l’equilibrio non è facile, visto che non ci sono nemmeno le strisce bianche sull’asfalto a dare un’indicazione di dove ci si trovi. 

A peggiorare la situazione una leggera curva che impedisce di vedere la fine della galleria. Sottopongo gli occhi ad uno sforzo sovrumano e piano piano mi abituo all’oscurità. Un rumore assordante, ci supera una moto; seguiamo il suo fascio di luce, ma dura poco. Quando si allontana è peggio di prima, perdo quel minimo di percezione visiva che avevo e ripiombiamo nel buio che più buio non si può, vagando nel nulla. Finalmente scorgo in lontananza una piccola luce; la punto come un rapace punta la sua preda, la vedo ingrandirsi man mano che mi avvicino. Ecco, sono fuori, sana e salva, ma per quanto? Dov’è quel muro insormontabile tanto temuto? Prendo a raccolta tutte le mie residue forze, pronta a fronteggiarlo. Ce la farò? L’ansia aumenta mentre procedo e aspetto il momento fatidico, centellinando ogni energia, finchè alzo gli occhi e vedo il rifugio. Sono incredula! Non posso aver sbagliato strada, non ce ne sono altre! Chiedo lumi a Beppe. Sì, i due chilometri “spietati”, che mi hanno tenuto in apprensione per tutto il percorso, li ho appena superati. Che sollievo! Facciamo qualche foto ed entriamo nel rifugio per cambiarci e mangiare un tagliere di formaggio e bresaola.
E’ ormai tardo pomeriggio quando usciamo dal rifugio, ben coperti e pronti per affrontare la lunga discesa. Sorprendentemente il cielo si sta squarciando e si intravede l’azzurro del cielo. A poco a poco anche il sole fa capolino fra le nuvole e il paesaggio circostante cambia completamente aspetto. La luce calda della sera ha un effetto rilassante e mi induce a canticchiare mentre scendo tranquilla. Adesso posso ammirare lo scenario lunare d’alta quota, le montagne innevate, i boschi e i pascoli. Beppe stavolta ha fermato una macchina che ci consente, col suo fascio di luce, di superare la galleria in sicurezza e in pochi secondi. Un grazie di cuore al mio amico, uno dei pochi che mantiene sempre la parola data e che mi è sempre vicino nei momenti difficili della vita.




martedì 15 novembre 2011

02/06/2011: da Gandosso a Solto Collina in 7 Colli (Lombardia) (km 145 – 3092 metri di dislivello i


ITINERARIO: Grumello del Monte - Gandosso – Collepiano – Colle San Fermo – Colle Gallo/Altino – Selvino/Passo di Ganda – Valrossa – Solto Collina - Grumello del Monte  

(dal mio Garmin: km 145 – 3092 metri di dislivello in bici da corsa)



Quando l’avversione al traffico delle strade principali arriva a certi livelli, non c’è niente di meglio che salire e scendere dai più tranquilli colli che si estendono “alle spalle” di casa mia e che si susseguono, uno dietro l’altro, potrei dire, all’infinito. Si potrebbe benissimo ottenere una 9 Colli bergamasca semplicemente aggiungendo al giro odierno le salite di Parzanica (8 km - 600 metri di dislivello) e di Gandosso da Villongo
(2,5 km - 200 metri di dislivello con due rampe al 17%), per una Gran Fondo di 170-180 km ed un dislivello di circa 3.800 metri. Certo che la mia mente bacata ne escogita di idee strampalate …


Alzarmi all’alba, a volte, mi costa fatica, ma si tratta proprio e soltanto di fare lo sforzo di mettere le gambe fuori dal letto, perché, una volta in piedi, piano piano la sonnolenza svanisce con i preparativi. Uscendo da casa, lascio un mondo per entrare in un altro. E’ un meccanismo interno, che scatta automaticamente quando salgo in sella alla mia bici e che mi sintonizza su una frequenza diversa. Per qualche ora abbandono mentalmente e materialmente le mille incombenze domestiche, familiari e lavorative e penso soltanto a pestare sui pedali. Appena girato l’angolo, punto subito la bici verso l’alto. La salita a Gandosso, di soli 4 km e 270 metri di dislivello, non è da sottovalutare con i suoi strappettini all’11-12%, ma ormai la conosco come le mie tasche e, a forza di percorrerla a piedi e in bici, vi ho scavato un solco nell’asfalto. All’altezza della piccola cappella, giro a destra e scendo a Villongo, raggiungo Foresto Sparso e, poco dopo le serre, imbocco la strada a destra che sale a Collepiano. La salita di 2,3 km e circa 250 metri di dislivello parla da sola; è breve, ma piuttosto cattiva, con un paio di strappi al 16–17%. Per fortuna la sofferenza dura poco e si dimentica in fretta.

L'amico Silvio, a caccia di coccole, accompagna i ciclisti su e giù per i Colli di San Fermo ...
è troppo simpatico, merita un abbraccio!

Discesa ad Adrara S. Martino ed altra scalata, questa volta più lunga (11 km e 750 metri di dislivello), ai Colli di San Fermo, che però non presenta grandi difficoltà, se non uno strappo iniziale ed uno finale all’11-12%; tra l’altro, una volta oltrepassato Adrara S. Rocco, offre un paesaggio di boschi e pascoli davvero incantevole, soprattutto nel periodo autunnale, quando le chiome degli alberi assumono tutte quelle tonalità calde e dorate che mi fanno impazzire. 


Scollino, un paio di chilometri di falsopiano e, poi, mi lancio, con una certa cautela, nella lunga (9 km), tecnica (per via dei numerosi, stretti tornanti nella parte finale), a tratti piuttosto ripida (18%), discesa fino a Grone, dove, raggiunta la strada provinciale, svolto a destra. Poche pedalate e, alla rotonda, prendo la via all’estrema sinistra, verso Gaverina Terme. Percorro un chilometro e mezzo in falsopiano ed altri 6 km di salita con 400 metri di dislivello. In men che non si dica, sono al Colle Gallo. Non mi fermo. Imbocco subito la strada a destra che sale al Santuario della Madonna di Altino. Mi piacciono un sacco questi due chilometri di saliscendi in mezzo al bosco: le viste panoramiche sulle valli e le montagne circostanti sono spettacolari. Di nuovo in discesa, un po’ disagevole per via delle grate posizionate sulla sede stradale, dell’asfalto grosso e delle buche, sino a Cene. Sbuco sul provinciale e giro a sinistra. Supero la Chiesa. Alle due rotonde procedo sempre dritto fino all’incrocio. Giro a destra e in una decina di minuti arrivo a Nembro. Al semaforo, in corrispondenza del piccolo e stretto ponte in pietra, svolto ancora a destra. Proseguo dritto fino alla piazzetta lastricata e, poi, mi dirigo verso destra. Alla piccola rotonda, prendo la strada all'estrema sinistra, che, in 11 km di salita dolce e regolare, conduce a Selvino (700 metri di dislivello). Scollino e attraverso il centro del paese, imboccando, subito dopo, la rampa che sale ad Aviatico. Seguo le indicazioni per Orezzo e, valicando il Passo di Ganda (circa 4 km), raggiungo Gazzaniga, dopo una piacevolissima discesa di 9 km tra boschi e pascoli. 


Giunta sulla strada principale, giro a destra e, alla rotonda, a sinistra. Supero, quindi, il ponte sul fiume Serio e ritorno a Cene. Ripasso ancora davanti alla Chiesa, in senso inverso, questa volta, e, poco dopo, infilo la strada a destra, che sale a Bianzano, percorrendo la Valrossa, in circa 7 km assolutamente facili. Di nuovo in discesa verso Ranzanico ed Endine Gaiano. Sul provinciale svolto a sinistra e, dopo un paio di chilometri, a destra, verso Solto Collina. Breve risalita al paese ed altrettanto breve discesa panoramica sul lago d’Iseo. A Riva di Solto devio a destra e costeggio il lago per una ventina di chilometri. Tavernola, Predore, Sarnico. Ancora 10 km e, finalmente, concludo la mia Gran Fondo personale dei 7 Colli “orobici” con un’inenarrabile abbuffata al ristoro di casa mia.





giovedì 10 novembre 2011

29/05/2011: Foppolo – San Simone (Lombardia) - (km 174 – 2345 metri dislivello in bici da corsa)


Quanto mi piacciono queste lunghe giornate di primavera che mi permettono di partire all’alba e di vagabondare finchè voglio, senza l’ansia che si faccia buio!

Nella mia collezione di salite della Val Brembana mancavano quelle di Foppolo e San Simone, due rinomate stazioni sciistiche a breve distanza l’una dall’altra. Essendo particolarmente battute dal traffico, non mi allettavano più di tanto, ma la curiosità era tanta e così mi sono detta che, comunque, almeno una volta andavano fatte. Forse questo è il periodo migliore per affrontarle: troppo tardi per gli sciatori e troppo presto per i villeggianti dei mesi estivi. 
Parto appena schiarisce, con il mio piccolo zainetto rosso sulle spalle, per l’ennesima avventura in solitaria. Come sempre, strada facendo, sogno ad occhi aperti. Mi piace fantasticare sui mille viaggi che vorrei intraprendere se solo ne avessi la possibilità. Questo mi aiuta a far passare in modo meno noioso il tempo quando sono costretta a sobbarcarmi chilometri e chilometri di strade trafficate, che non dicono nulla dal punto di vista paesaggistico, ma che, purtroppo, sono le uniche, inevitabili vie di accesso ai luoghi meravigliosi di cui è ricca la mia regione. Grumello, Bergamo, Zogno, San Pellegrino Terme, San Giovanni Bianco, Lenna. E sono già 54 km solo per arrivare sin qui. C’è chi si carica la bici in macchina e monta in sella una volta raggiunta la valle, ma, a volte, guardando le interminabili code, mi chiedo cosa sia meglio. Comunque, da Zogno a Lenna c’è una bellissima ciclovia che permette di pedalare in tutta tranquillità. Da San Pellegrino mi fa compagnia un ciclista milanese, che, per l’appunto, ha parcheggiato lì la sua vettura. A Lenna (463 m s.l.m), paesino adagiato alla confluenza dei due rami del fiume Brembo, si comincia già a respirare aria di montagna. Fuori dal paese seguiamo il ramo destro del corso d’acqua, lungo la strada che lo fiancheggia e che, alternando tratti più o meno ombreggiati, risale la valle in direzione di Fondra (709 m s.l.m). Come previsto, il traffico in questa stagione è pressocché inesistente e così possiamo parlare tranquillamente, godendoci lo splendido paesaggio circostante. Attraversiamo piccoli borghi di montagna, ristrutturati e ben curati. Fino a Branzi la pendenza media è del 3%, ma, dopo il paese, la strada s’impenna, presentando un’inclinazione media del 7%, con punte da “Giro d’Italia” del 12%. Superiamo senza particolare sforzo Trabucchello (799 m s.l.m.) ed entriamo in Branzi (844 m s.l.m.), paese del noto formaggio, percorrendo il bel viale fiancheggiato da profumati tigli. Da qui, la strada comincia a salire con più decisione e, quindi, invito il mio occasionale compagno di viaggio a proseguire con il suo passo. Non voglio che si sacrifichi per me e, tanto meno, mi va di tirarmi il collo per stargli a ruota. Superato Branzi, mi aspettano quattro spettacolari tornanti intagliati dentro un verticale sperone di roccia, prima di incontrare la zona delle cave ed il bivio per Carona. Qualche ciclista mi supera, mi chiede da dove vengo e mi fa i complimenti. Ed io ogni volta mi sorprendo sinceramente, perché non mi sembra di fare niente di eccezionale. Man mano che salgo, la pineta si dirada, mostrando le vicine montagne. Al bivio di Valleve (1141 m s.l.m.) giro a destra ed entro in una galleria-paravalanghe, che presenta una pendenza del 9%. Sono accompagnata da un terribile frastuono, che aumenta sempre più mentre procedo al buio e in salita. Quando mi avvicino, mi rendo conto che il fragore è provocato da una cascata che si getta dal lato sinistro della galleria, costruita in modo tale da lasciar scorrere l’acqua al suo interno. Ogni rumore dentro un tunnel diventa assordante, figuriamoci quello di una cascata! Esco con sollievo dal budello e, nel giro di pochi minuti, arrivo a Foppolo (1635 m s.l.m.). Sarà anche un centro sciistico di rilevanza internazionale, ma, a me, tutte quelle orribili cattedrali di cemento, che nascondono la luce del sole, danno tanta tristezza. E’ una delle località di montagna più deturpate che io abbia mai visto. Ma davvero non si poteva fare niente di meglio? Sono indignata, disgustata. Mi trovo ad immaginare come doveva essere incantevole questa località nel passato, quando era ancora e soltanto un borgo contadino circondato da prati fioriti, con l’acqua dei ruscelli che scendeva gorgogliando dai fianchi delle montagne e le mucche al pascolo. Ritorno al presente e abbandono con piacere questi obbrobri. Di una cosa sono certa: qui non ci verrò mai più! Scendo fino al bivio di Valleve e, subito dopo la galleria con la cascata assordante, giro a destra e seguo le indicazioni per San Simone (1670 m s.l.m.), altra frequentata stazione sciistica. Oggi, per fortuna, non c’è in giro anima viva o quasi. La strada, però, è così dissestata che non so più dove mettere le ruote. L'intera sede stradale è disseminata di enormi buche e ciò mette in difficoltà persino le poche, malaugurate vetture che hanno avuto l’ardire di avventurarsi fin quassù. Infatti, anch’io comincio a pensare che la mia sia stata una pessima idea. La strada, tra l’altro, è ripidissima; la pendenza non scende  mai al di sotto del 10%, ma ormai sono qui e adesso sono curiosa di vedere cosa troverò lassù. A fatica, dribblando tra un cratere e l’altro, scollino. La strada “asfaltata” finisce all’improvviso su un ampio pianoro terroso, impossibile da percorrere con una bici da corsa, dove si trovano gli impianti di risalita. Pensavo che San Simone fosse un paese e invece non c’è alcuna abitazione. Che desolazione! A questo punto non mi resta altro da fare che girare la bici e cercare di tornare a valle senza rompermi l’osso del collo. Sono amareggiata, ho perso inutilmente del tempo. Tra l'altro, con tutta l’attenzione prestata alla strada, sia nel salire che nello scendere, nemmeno mi sono accorta di ciò che mi stava intorno. Vabbè, almeno adesso la mia curiosità è stata appagata. Copro in breve tempo i chilometri che separano Valleve da Lenna e, poco dopo, m’infilo nella bella ciclovia, che percorro fino ad Ambra. Per evitare il traffico che, senza dubbio, incontrerei sulla statale per Bergamo, decido di tornare a casa passando da Selvino. La salita è lunga una quindicina di chilometri, ma non è impegnativa. Una volta scesa a Nembro, attraverso il fiume Serio, svolto a sinistra per il Colle dei Paste e, dopo una ventina di chilometri, concludo il mio giro affogando quel po’ di delusione che mi è rimasta in un’eccezionale coppa di gelato.

martedì 8 novembre 2011

22/05/2011: in bici dalle valli bergamasche al Lago d'Iseo (km 169 – 2011 metri dislivello in bici da corsa)


TRACCIA GPS

Itinerario: Grumello - Bergamo - Gerosa - Berbenno - Valsecca - Costa Imagna - Almenno San Salvatore - Bergamo - Villa di Serio - Cene - Valrossa - Ranzanico - Endine - Solto Collina - Tavernola - Grumello: km 169 - 2011 metri di dislivello+ in bici da corsa

Luogo designato per l’incontro con Antonio, come al solito, il cimitero di Seriate, alle porte di Bergamo. Impiego circa mezz’ora per coprire in bici i 13 km che separano casa mia dalla piccola cittadina. Il mio compagno di avventura è già in attesa e, quando mi scorge, mi viene incontro, affiancandomi senza darmi la possibilità di fermarmi. E’ tipico di Antonio non perdere tempo, sia quando lavora che nel tempo libero. Insieme raggiungiamo Bergamo, superiamo Sorisole, Ponteranica e Almè. Questa strada è trafficata già dalle prime ore del mattino e sempre battuta da un forte vento contrario, ma è l’inevitabile prezzo da pagare per l’ingresso in Paradiso, le cui porte, in questo caso, si aprono a Sedrina, che raggiungiamo in circa 40 minuti. Dopo una breve discesa, imbocchiamo la strada a sinistra, prima della galleria, che sale con dolci pendenze a Gerosa, attraversando, dapprima, una stretta valle percorsa da un bel torrente e, poi, il centro abitato di Brembilla. Qui, possiamo pedalare affiancati e chiacchierare tranquillamente: la strada è deserta. Nel silenzio, echeggiano soltanto le nostre risate, accompagnate dal canto degli uccellini. Antonio ha sempre un aspetto così serioso che incute soggezione solo a guardarlo; eppure, quando mi racconta certi aneddoti che lo riguardano, mi fa piegare in due dalle risate. E, tra una risata e l’altra, eccoci al bivio per Gerosa. Procedendo a destra si raggiungerebbe Taleggio e l’omonima, magnifica valle, ma noi svoltiamo a sinistra e, dopo aver superato il piccolo borgo di Blello e una breve rampetta, continuiamo per qualche chilometro su falsopiano. La strada entra, quindi, in un bosco da favola. Mi scuso con Antonio, ma, sono così presa dalla bellezza del posto, che non riesco a seguire i suoi discorsi. Scendiamo a Berbenno e da qui a S. Omobono Imagna, sbucando sulla strada provinciale. Giriamo a destra e seguiamo le indicazioni per la Valsecca e Costa Imagna. Dopo un paio di chilometri in falsopiano, la strada comincia a salire con una pendenza costante e regolare tra l’8 e il 10%. Scolliniamo dopo circa 9 km e ci fermiamo qualche minuto per fare il pieno di carburante. Siamo in anticipo sui tempi di marcia e così ce la possiamo prendere comoda. Ci sediamo su una panchina ad ammirare il panorama che si apre davanti ai nostri occhi e, mentre io sbrano il mio panino con la marmellata, Antonio ingoia in un sol boccone un piccolo Bounty al cioccolato e al cocco. Come al solito non ha con sé nemmeno una borraccia d’acqua. Come faccia a farsi oltre 100 km e 2000 metri di dislivello senza quasi mangiare e senza bere un goccio d’acqua rimarrà sempre un mistero per me, che mi porto minimo 3 panini e 3 tre fette di crostata, più qualche barretta ai cereali (non si sa mai ... avessi un calo di zuccheri), oltre a due borracce di acqua che mi curo di riempire ad ogni fontanella. Rimontiamo in sella un po’ di malavoglia, attraversiamo Costa Imagna e, al bivio, svoltiamo e destra per la Roncola, proseguendo, poi, ancora su falsopiano, per qualche chilometro. Attorno a noi prati, fiori e farfalle, placide mucche distese al sole e cavalli al pascolo. Arriviamo in paese. Mamma mia quanta gente! Via di qua alla svelta! Ci lanciamo in picchiata verso Almenno San Salvatore. Antonio sparisce in un amen, mentre io scendo in compagnia di altri ciclisti meno scavezzacollo di lui. Sulle loro magliette leggo nomi di paesi appartenenti ad un’altra provincia, Seregno, Brugherio .. Evidentemente questa zona è battuta anche dai brianzoli. Sto talmente bene nella loro scia che non mi accorgo nemmeno di Antonio, fermo, in attesa, al bivio in fondo alla discesa. Per fortuna il suo richiamo mi riporta sulla retta via, altrimenti avrei seguito come un’oca i miei colleghi e chissà dove sarei finita. Ad Almenno San Salvatore finisce la pacchia. Procediamo in fila indiana per evitare di farci stirare dal traffico, che qui è davvero caotico. Mi concentro sulla ruota posteriore di Antonio e mi isolo da tutto il resto per un tempo indefinito, fino a Bergamo. Poco dopo, a Gorle, le nostre strade si dividono. Antonio deve rientrare; io, invece, continuo da sola verso Villa di Serio, Albino, Cene e la Valrossa. Mi concedo un’altra sosta per un gelato e due chiacchiere con i gestori del bar; poi riprendo a pedalare. La strada ritorna tranquilla e, dopo 7-8 km di dolce pendenza, scollino. Altro rifornimento di carburante e, quindi, mi lancio nella dolce, bella e veloce discesa con vista sul lago di Endine. Al bivio, imbocco la strada per Ranzanico, scendo ad Endine Gaiano e, dopo pochi chilometri di provinciale, giro a destra, per Solto Collina. Ancora un paio di chilometri di salita e scollino di nuovo. Poi scendo dal versante opposto, verso il lago d’Iseo, sempre molto scenografico; non mi stancherò mai di guardarlo. Eccomi a Riva di Solto. Svolto a destra per Tavernola, costeggiando il lago e, dopo circa un’oretta, m’infilo nel cancello di casa. Che bello essere accolta dall’abbaiare festoso del mio piccolo e fedele amico a quattro zampe! Chi altri mi verrebbe incontro saltando e scodinzolando con altrettanta gioia?