Roberto |
Alle 5,45 siamo già tutti radunati da Riccardo. Tutti tranne Roberto, che arriva trafelato alle 6 con il suo carico di uova, salame bollito, pane e beveraggi vari. Che personaggio! Mi fa una tale tenerezza quest'uomo .. buono come il pane e, soprattutto, molto generoso; ad ogni gara ama condividere con noi i prodotti dei suoi allevamenti. Penso che di una persona così ci si possa fidare ciecamente e tutti gli vogliono bene, anche se, a volte, si divertono a fargli qualche scherzetto. Oggi partiamo in 15, però solo in 12 partecipiamo alla gara. Sosta all'Autogrill di Ghedi, dove scatta l'operazione “pesce d'aprile”. Vittima, naturalmente, Roberto, a cui viene mostrata la classifica del Giro delle Regioni manomessa, nella quale risulta essere di sole due posizioni davanti a Bruno. Mi dispiace un po' vedere l'espressione sconcertata di Roberto; non riesce proprio a capacitarsi di come ciò sia avvenuto. Eppure ha praticato tutto l'inverno, con grande impegno, la rotopress, mentre Bruno si è dedicato con cuor leggero ai piaceri della tavola. Che mascalzoni!
Arriviamo a Carpaneto Piacentino intorno alle 8. L'aria è gelida stamattina, ci sono soltanto 8 gradi, ma il cielo è limpido, senza una nuvola. Ritiro veloce dei pettorali e dei pacchi gara, scarico e preparazione delle bici, gli ultimi accordi, un giretto per sgranchirci le gambe e poi ognuno se ne va alla ricerca della propria griglia. Sono purtroppo costretta a separarmi dalla Patty, perchè qui non c'è una griglia riservata alle donne ed essendosi lei iscritta al percorso corto soltanto qualche giorno fa, correrà con il n. 2118, mentre io con il n. 316. Per far passare il tempo, attacco bottone con un sessantottenne cremonese; 60 anni di bici, una vita spesa sui pedali, una grande passione, tante storie da raccontare ed io mi sento piccola, piccola, con la mia breve carriera quinquennale. Lo rivedrò alle premiazioni sul primo gradino del podio. Beh, se non se lo merita uno così … Qualcuno mi batte sulla spalla. Che ci fa Luis qui e soprattutto come ha fatto ad arrivarci? Durante il giro di riscaldamento con la Patty avevo avuto dei problemi alla catena, ma trovare Luis tra 2500 ciclisti sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio e così vi avevo rinunciato. E invece lui, grazie alla segnalazione della Patty, ha trovato me e credo sia stata un'impresa ciclopica, peggio che risalire un fiume controcorrente. Però, che bello avere un meccanico nel proprio team! In due secondi il problema è risolto e adesso mi sento più sollevata. Quanti debiti di riconoscenza sto accumulando con i miei compagni di squadra! Sono sempre molto gentili e disponibili a darmi una mano. Grazie Luis. Mi trovo alcuni metri dietro Claudio Chiappucci ed altri ciclisti del suo calibro, che, tra pochi secondi, mi faranno mangiare la polvere. Inizia il conto alla rovescia: tre, due, uno … partenza e si fa subito il vuoto davanti a me. Siamo in aperta campagna, una campagna spazzata da un vento violento. Sopraggiungono gli altri plotoni, a cadenza regolare, man mano che le griglie vengono aperte. La strada è dissestata e pericolosa e, seppur segnalata, si manterrà in queste condizioni per la maggior parte del percorso. Percorro un lungo falsopiano in salita, forse una quindicina di chilometri. Odio i falsopiani e odio il vento. Ho già voglia di mollare. Giorgio e Mirko si fanno riconoscere passandomi accanto come razzi, ma mi rifiuto di seguirli; ho le gambe dure come il legno e mi devo sciroppare ancora oltre 90 km. Sarebbe un'idiozia. Con mio grande stupore, però, poco dopo distinguo davanti a me una maglia dell'OMPG. Qualcuno del mio gruppo è alle calcagna di una giovane ciclista. Non può che essere Mirko. E allora corrisponde al vero che, come un segugio, non appena fiuta la sua preda, le si incolla alla ruota. Mi sento in dovere di richiamarlo all'ordine e lo faccio forse con troppa veemenza. Sussulta, ma ottengo l'effetto desiderato, perchè molla la presa e ritorna sulla giusta via. Ecco finalmente la salita per Gropparello. La velocità si ridimensiona repentinamente ed il ritmo di pedalata si fa più regolare.
La pendenza non è elevata, però ogni tanto mi alzo sui pedali per sgranchire le gambe. Scollino e inizio la discesa, ma, poco dopo, la strada riprende a salire e poi di nuovo a scendere. Ancora i soliti saliscendi spezzagambe. Basta! Voglio le salite alpine!!! Lunghe, dure e strabordanti di tornanti. Ignoro il bivio del percorso corto e proseguo per il medio. La strada continua a salire sul crinale delle colline. Caratteristica di questa Gran Fondo sono gli spazi aperti, che offrono un'ampia visuale tutt'attorno, cosicchè, mentre pedalo, posso comodamente tener d'occhio la situazione ed osservare la serpentina di ciclisti davanti e dietro me. Il panorama è gradevole, ma non c'è alcun riparo dal vento. Salgo piegata sul manubrio e spingo con forza sui pedali, ma il risultato è scadente. Poco distante da me, una coppia di ciclisti sale abbracciata. In questa circostanza, simili manifestazioni d'affetto mi puzzano un po'. Scendiamo su un tratto di strada in pessime condizioni. “E quando pensi che sia finita … è proprio allora che ri-comincia la salita … che fantastica storia è la vita”, canta il grande Venditti, ma in questo momento di fantastico c'è ben poco. Infatti una curva secca a destra ci immette subito su una rampa assassina. Che rasoiata per i garretti! Questa proprio non ci voleva dopo circa 1400 metri di dislivello. Arranchiamo tutti, soffiando e brontolando nei vari dialetti; per fortuna c'è sempre chi trova, anche nella sofferenza, il lato umoristico della situazione. Ancora qualche centinaia di metri e arrivo al ristoro di Prato Barbieri. Rispondo al saluto di Mirko, che sventola i suoi panini come trofei, ma procedo oltre. Ho mangiato qualche pezzetto di mango essiccato mentre salivo e, comunque, adesso non ho fame. Continuo ancora un po' su e giù; poi inizia la lunga discesa, di circa 30 km, verso Castell'Arquato. La strada scende dolcemente, prima con tornanti e poi con curve sempre più ampie. Come al solito sono sola. Il vento contrario mi costringe a pedalare, ma riesco a mantenere una buona velocità. All'improvviso sento il rumore assordante di un elicottero che si avvicina e, contemporaneamente, la sirena di un'ambulanza. Il primo atterra sul ciglio della strada proprio mentre passo io, provocando un vortice d'aria che mi spinge dalla parte opposta della carreggiata. Poco avanti vedo un gruppetto di ciclisti, di cui uno sta scendendo tenendo nella mano destra una bici che nessuno per oggi monterà più; è chiaro che il suo proprietario ha avuto dei problemi, speriamo non gravi (verrò a sapere, più tardi, che si è scontrato con un cervo). Continuo la discesa, cercando di stare a ruota di tre ciclisti sopravvenuti nel frattempo; le mani in presa bassa e il busto quasi aderente alla canna per tagliare l'aria il più possibile. Pedalo come una forsennata, ma ad ogni curva perdo un po' di terreno, che il vento mi impedisce di recuperare e, alla fine, il distacco è troppo. Li lascio andare e scendo come posso. Una voce alle mie spalle mi esorta: “Andiamo!”. Non me lo faccio ripetere due volte. Mi accodo ad un bel gruppetto e sono salva: se fossi rimasta sola nel tratto prima di Castell'Arquato, il vento mi avrebbe ributtata indietro. Nei pressi di un cavalcavia veniamo inglobati nel primo gruppo del lungo, che marcia ad una velocità pazzesca. Accidenti come filano! Qui devo stare attenta a non combinare casini, soprattutto nella curva a sinistra che introduce nell'antico borgo. Per fortuna quei folli scatenati spariscono sulla rampa in pavé del centro storico e rimaniamo in due gatti due: io e, combinazione, un altro bergamasco di Lovere. Ci facciamo il tifo a vicenda mentre saliamo, in equilibrio precario, lungo una lingua di piastrelle malmesse larga una spanna, cercando di non sconfinare sull'acciottolato che la delimita, pena una brutta caduta o la foratura assicurata. Una tortura di oltre un chilometro. Non riesco neppure a staccare gli occhi da terra per osservare ciò che mi sta attorno e che so essere meraviglioso, per aver già visitato il posto anni addietro. Un turista si offre di spingermi, come ha fatto con altri. No, grazie, scusi, ma per me sarebbe un disonore. Finisce l'acciottolato, ma inizia un'altra rampa asfaltata. Il Loverese, che mi precede, m'incoraggia: “Dài Grumello, è finita” e, quando m'illudo di aver trovato un alleato per l'ultima dozzina di chilometri pianeggianti, quello devia al ristoro e mi lascia sola di nuovo ad affrontare la desolazione della campagna, a lottare come una dannata contro un vento beffardo che cambia continuamente direzione, ma che evita accuratamente di soffiare alle mie spalle. Nella mia, seppur breve, carriera ciclistica, non ho mai visto un vento così tremendo. Provo disperatamente ad accodarmi ad alcuni ciclisti del percorso lungo che mi hanno raggiunta, ma riesco a tenere le loro ruote soltanto per pochi metri. Li guardo, impotente, mentre si allontanano sul quel rigagnolo d'asfalto che corre in mezzo ai campi coltivati.
Ma ecco che, anche stavolta, le mie preghiere vengono esaudite. Poco distante, un ciclista di larga stazza sta viaggiando ad una buona velocità per me. Non potrei avere un riparo migliore. Con un immenso sforzo mi avvicino e mi metto a ruota, ma, nonostante ciò, il vento mi dà ancora del filo da torcere, soprattutto quando m'investe obliquamente o lateralmente, facendomi sbandare. L'omone si accorge di me, mi sorride bonario e, piano piano, mi porta al traguardo. Trionfanti, passiamo insieme sotto il gonfiabile dell'arrivo. Grazie di cuore anonimo ciclista: mi hai permesso di arrivare 848^ su 1015 e, 46^ su 70 nella classifica femminile. Risultato di cui mi sento molto orgogliosa, perchè frutto della mia fatica, ottenuto in modo leale, senza trucchi e senza inganni ... magari con un pizzico di fortuna. Dopotutto ho 50 anni suonati e mi alzo tutte le mattine alle 5, destreggiandomi tra lavoro, figli e mestieri casalinghi, per ritagliarmi qualche ora di allenamento. Di più non posso fare ed oltre un certo livello non potrei mai andare.
La pendenza non è elevata, però ogni tanto mi alzo sui pedali per sgranchire le gambe. Scollino e inizio la discesa, ma, poco dopo, la strada riprende a salire e poi di nuovo a scendere. Ancora i soliti saliscendi spezzagambe. Basta! Voglio le salite alpine!!! Lunghe, dure e strabordanti di tornanti. Ignoro il bivio del percorso corto e proseguo per il medio. La strada continua a salire sul crinale delle colline. Caratteristica di questa Gran Fondo sono gli spazi aperti, che offrono un'ampia visuale tutt'attorno, cosicchè, mentre pedalo, posso comodamente tener d'occhio la situazione ed osservare la serpentina di ciclisti davanti e dietro me. Il panorama è gradevole, ma non c'è alcun riparo dal vento. Salgo piegata sul manubrio e spingo con forza sui pedali, ma il risultato è scadente. Poco distante da me, una coppia di ciclisti sale abbracciata. In questa circostanza, simili manifestazioni d'affetto mi puzzano un po'. Scendiamo su un tratto di strada in pessime condizioni. “E quando pensi che sia finita … è proprio allora che ri-comincia la salita … che fantastica storia è la vita”, canta il grande Venditti, ma in questo momento di fantastico c'è ben poco. Infatti una curva secca a destra ci immette subito su una rampa assassina. Che rasoiata per i garretti! Questa proprio non ci voleva dopo circa 1400 metri di dislivello. Arranchiamo tutti, soffiando e brontolando nei vari dialetti; per fortuna c'è sempre chi trova, anche nella sofferenza, il lato umoristico della situazione. Ancora qualche centinaia di metri e arrivo al ristoro di Prato Barbieri. Rispondo al saluto di Mirko, che sventola i suoi panini come trofei, ma procedo oltre. Ho mangiato qualche pezzetto di mango essiccato mentre salivo e, comunque, adesso non ho fame. Continuo ancora un po' su e giù; poi inizia la lunga discesa, di circa 30 km, verso Castell'Arquato. La strada scende dolcemente, prima con tornanti e poi con curve sempre più ampie. Come al solito sono sola. Il vento contrario mi costringe a pedalare, ma riesco a mantenere una buona velocità. All'improvviso sento il rumore assordante di un elicottero che si avvicina e, contemporaneamente, la sirena di un'ambulanza. Il primo atterra sul ciglio della strada proprio mentre passo io, provocando un vortice d'aria che mi spinge dalla parte opposta della carreggiata. Poco avanti vedo un gruppetto di ciclisti, di cui uno sta scendendo tenendo nella mano destra una bici che nessuno per oggi monterà più; è chiaro che il suo proprietario ha avuto dei problemi, speriamo non gravi (verrò a sapere, più tardi, che si è scontrato con un cervo). Continuo la discesa, cercando di stare a ruota di tre ciclisti sopravvenuti nel frattempo; le mani in presa bassa e il busto quasi aderente alla canna per tagliare l'aria il più possibile. Pedalo come una forsennata, ma ad ogni curva perdo un po' di terreno, che il vento mi impedisce di recuperare e, alla fine, il distacco è troppo. Li lascio andare e scendo come posso. Una voce alle mie spalle mi esorta: “Andiamo!”. Non me lo faccio ripetere due volte. Mi accodo ad un bel gruppetto e sono salva: se fossi rimasta sola nel tratto prima di Castell'Arquato, il vento mi avrebbe ributtata indietro. Nei pressi di un cavalcavia veniamo inglobati nel primo gruppo del lungo, che marcia ad una velocità pazzesca. Accidenti come filano! Qui devo stare attenta a non combinare casini, soprattutto nella curva a sinistra che introduce nell'antico borgo. Per fortuna quei folli scatenati spariscono sulla rampa in pavé del centro storico e rimaniamo in due gatti due: io e, combinazione, un altro bergamasco di Lovere. Ci facciamo il tifo a vicenda mentre saliamo, in equilibrio precario, lungo una lingua di piastrelle malmesse larga una spanna, cercando di non sconfinare sull'acciottolato che la delimita, pena una brutta caduta o la foratura assicurata. Una tortura di oltre un chilometro. Non riesco neppure a staccare gli occhi da terra per osservare ciò che mi sta attorno e che so essere meraviglioso, per aver già visitato il posto anni addietro. Un turista si offre di spingermi, come ha fatto con altri. No, grazie, scusi, ma per me sarebbe un disonore. Finisce l'acciottolato, ma inizia un'altra rampa asfaltata. Il Loverese, che mi precede, m'incoraggia: “Dài Grumello, è finita” e, quando m'illudo di aver trovato un alleato per l'ultima dozzina di chilometri pianeggianti, quello devia al ristoro e mi lascia sola di nuovo ad affrontare la desolazione della campagna, a lottare come una dannata contro un vento beffardo che cambia continuamente direzione, ma che evita accuratamente di soffiare alle mie spalle. Nella mia, seppur breve, carriera ciclistica, non ho mai visto un vento così tremendo. Provo disperatamente ad accodarmi ad alcuni ciclisti del percorso lungo che mi hanno raggiunta, ma riesco a tenere le loro ruote soltanto per pochi metri. Li guardo, impotente, mentre si allontanano sul quel rigagnolo d'asfalto che corre in mezzo ai campi coltivati.
Ma ecco che, anche stavolta, le mie preghiere vengono esaudite. Poco distante, un ciclista di larga stazza sta viaggiando ad una buona velocità per me. Non potrei avere un riparo migliore. Con un immenso sforzo mi avvicino e mi metto a ruota, ma, nonostante ciò, il vento mi dà ancora del filo da torcere, soprattutto quando m'investe obliquamente o lateralmente, facendomi sbandare. L'omone si accorge di me, mi sorride bonario e, piano piano, mi porta al traguardo. Trionfanti, passiamo insieme sotto il gonfiabile dell'arrivo. Grazie di cuore anonimo ciclista: mi hai permesso di arrivare 848^ su 1015 e, 46^ su 70 nella classifica femminile. Risultato di cui mi sento molto orgogliosa, perchè frutto della mia fatica, ottenuto in modo leale, senza trucchi e senza inganni ... magari con un pizzico di fortuna. Dopotutto ho 50 anni suonati e mi alzo tutte le mattine alle 5, destreggiandomi tra lavoro, figli e mestieri casalinghi, per ritagliarmi qualche ora di allenamento. Di più non posso fare ed oltre un certo livello non potrei mai andare.
Bruno |
Ma il bello deve ancora venire. Dopo la premiazione di Francesco e Riccardo, inizia la festa. Dal frigorifero portatile, Roberto estrae, come il prestigiatore dal suo magico cilindro, ogni ben di Dio. I panini vengono velocemente tagliati, imbottiti e divorati. La torta di mele preparata dalla moglie di Massimo (davvero è sposato? Sembra un ragazzino!), così come le brioches con nutella e marmellata, uscite dalle amorevoli mani della moglie di Mirko, spariscono nelle fauci dei lupi. Il tutto annaffiato con qualche buon bicchiere di Gutturnio e Malvasia dei Colli Piacentini, saccheggiati da Bruno al mercato, per dimenticare un po' la stanchezza.
Le battute e le risate si sprecano, l'atmosfera è allegra e serena ... è proprio di questo che avevo bisogno. Grazie ragazzi per avermi accolta tra di voi!
Percorso Medio:
53° Gavazzeni Riccardo – 4° cat. - 2:47:42
107° Belotti Francesco – 2° cat - 2:53:04
218° Loda Federico – 46°cat. - 3:02:00
483° Brevi Luis – 88° cat. - 3:20:55
705° Seghezzi Roberto – 46° cat. - 3:39:29
848° Tintori Emanuela – 23^ cat. - 3:55:53
884° Paris Mirko – 133° cat. - 4:04:05
917° Marchetti Bruno – 64° cat. - 4:10:41
392° Bonardi Massimo (Asd Freezone) – 70° - 3:13:09
788° Cancelli Giorgio (Asd Gc Valcalepio) – 84° - 3:47:22
Percorso Corto
Donati Patrizia - 264^ su 315 – 2:38:20 (14^ su 20 nella classifica femminile)
Riccardo (a sinistra del n. 2) |
Francesco (al 2° posto) |
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