Quando
tutto si accanisce contro di te, ti chiedi se ciò che accade non sia
un segno del destino che ti suggerisce di cambiare direzione.
Assecondarlo, quindi, oppure far finta di niente e cercare di
superare, una dopo l'altra, le varie difficoltà fino ad avere la
meglio? Sta di fatto che a gennaio, vuoi per varie vicissitudini
personali, vuoi per il maltempo e la mia avversione ai rulli, non avevo
fatto un allenamento sufficiente per affrontare una gara di 110 km e
1865 metri di dislivello. Ci mancavano soltanto le elezioni che
costringessero gli organizzatori ad anticipare la manifestazione
sportiva di due settimane! Già mi pareva presto il 24 febbraio,
figuriamoci il 10! E' vero che non sono un'agonista e che per me conta solo portare a termine la gara, ma
è proprio questo il punto. Ci sarei riuscita questa volta? Ma, sì, dài, chissene..., vada come vada!
Ed
è così che, libera dall'ansia da prestazione e pronta a godermi una
magnifica giornata sulla riviera ligure, venti minuti prima della
partenza, raggiungo quatta, quatta il mio angolino in fondo alla
griglia. Mi sento tranquilla e rilassata, forse troppo.
Giornata luminosa, cielo completamente
terso, aria frizzante sulla pelle, ma il tepore del sole conforta.
Sorrido ascoltando i commenti di chi crede di aver esagerato
nell'abbigliamento, peraltro, per nulla paragonabile al mio. Di
proposito, mi sono imbozzolata in uno spesso strato di vestiti in
perfetto look artico. Sono stanca del freddo patito nelle settimane
precedenti. Oggi voglio morire dal caldo!
Pedalo tranquilla. Con la partenza controllata, ci fermeremo ancora
27 volte prima di uscire dall'abitato. Non vale neanche la pena
diventare matti. Quest'anno non mi faccio fregare. A debita distanza
e insieme a pochi altri ciclisti, osservo divertita il continuo
inchiodare e ripartire di chi ci precede. Ormai conosco la strada,
però i due dossi tra il secondo ed il terzo chilometro non me li
ricordavo. Per fortuna qualcuno me li fa notare. Belli e veloci i 20
km sull'Aurelia. Ogni anno che passa sembrano sempre più brevi.
Butto l'occhio sull'immensa distesa azzurra del mare e sulla linea di
costa baciata dalla luce calda del sole mattutino. Mi sento bene, in
armonia con me stessa e con il mondo che mi circonda.
Attraverso
la galleria quasi da sola. Alle mie spalle sta sopraggiungendo un
grosso plotone che mi fagocita al suo interno, espellendomi, però,
nel giro di pochi secondi. Mi aggancio lesta al
fanalino di coda, che mi trasporta in un amen al bivio di
Ceriale, dove svoltiamo a sinistra verso Cisano sul Neva. Un piccolo strappetto e, poi, un lungo falsopiano in salita, alternato da alcuni
tratti di discesa. La strada non è particolarmente larga, ma noto
molta prudenza da parte dei numerosi ciclisti che ancora stanno
arrivando a frotte. Un po' di attenzione nelle rare curve, qualche rampetta da fare fuorisella per sgranchire le gambe ed anche il
bivio per Arnasco giunge in men che non si dica. Quest'anno niente
ressa al ponticello. Siamo al 24° km.
La salitella che segue non mi preoccupa: ormai so che è breve. Subito dopo, la strada spiana e si viaggerà ancora
velocemente per circa 3 km.
Al
27° km inizia la prima vera salita, che ci porterà, con qualche
saliscendi e dopo una ventina di chilometri, fino a Costa Bacelega,
passando per i borghi di Arnasco, Vendone ed Onzo. D'ora in poi
ognuno sale col proprio passo. Il mio è quello da crociera, regolare
e agile. Ogni tanto mi alzo sui pedali e porto avanti la mia danza
per alcuni minuti, riuscendo a rimontare facilmente diverse posizioni. Supero piccoli paesini e attraverso boschi ancora
rinsecchiti, ma il paesaggio è gradevole. Una volta scollinato, affronto, con attenzione e prudenza, la bella
discesa di circa 5 km in mezzo agli ulivi, le curve secche ed il
susseguirsi di stretti tornantini. Finora tutto bene. Nel mio
abbigliamento invernale ci sto a meraviglia, sia in salita che in
discesa e, come al solito, non ho né fame né sete.
Nel successivo tratto di pianura mi ritrovo in un bel gruppetto. Il forte vento non ci consente di viaggiare particolarmente veloci, ma da sola sarebbe stato un dramma percorrere
i 7 km fino ad Ortovero. Ed ecco il bivio a destra, che ci immette su una
stradina secondaria. Un paio di chilometri in una zona periferica e,
dopo una svolta a destra, imbocchiamo la strada che ci porterà, dopo
4 km di salita ed altrettanti in falsopiano, prima a Ligo e, poi, a
Casanova Lerrone. Mi ricordo che qui l’anno scorso avevo più
energia; oggi comincio ad accusare un po’ di stanchezza. Il
panorama però è grandioso. Man mano che si sale di quota, la vista
spazia lontano, su tutta la costa ligure. Allo scollinamento, dove è
posto il secondo ristoro, c'è una calca infernale. Non mi voglio
fermare, ma per passare sono costretta a scendere dalla bici e fare
qualche passo a piedi. Nessuno si sposta dalla strada, nonostante le
mie gentili richieste. La carreggiata è invasa da decine e decine di
ciclisti fermi a ruminare. Con non poca difficoltà, supero la barriera umana
e risalgo in sella.
La strada, adesso, corre in piano, per poi scendere di nuovo in mezzo agli uliveti, andando, infine, ad incrociarsi, dopo un'ampia curva a sinistra, con quella principale che ci condurrà, in circa 8 km, a Garlenda. Continuando, invece, verso destra si raggiungerebbe il Passo del Cesio. Sono sola già da un po' di tempo e il vento contrario è davvero fastidioso. Al paese c'è la deviazione a destra per il passo del Testico. Siamo più o meno intorno al 78° km. Dopo il campo sportivo la strada s'inclina subito verso l'alto. Arranco con fatica, sono stanca, ma l'ambiente che mi circonda è splendido e mi aiuta a distrarre la mente. A bordo strada cespugli di mimosa, lavanda e rosmarino. Nei boschi una profusione di narcisi bianchi e gialli. La primavera è già alle porte. Eppure, quelle cime innevate, che si stagliano all'orizzonte, non sembrano molto distanti da qui. Passo per i borghi di Paravenna e Caselle. Dopo circa 7 km la strada spiana e s'incrocia con quella che, a sinistra, scende ad Alassio. Io, invece, svolto a destra e percorro altri 5 km in falsopiano, facendo attenzione ai polli che attraversano la strada nei pressi di un'azienda agricola. Il primo tratto di contropendenza inganna. La vera discesa, infatti, inizia dopo un altro breve tratto di salita, al 90° km. Poi, finalmente, giù, a rotta di collo. Ancora venti chilometri. Le curve, ampie e dolci, invitano a mollare un po' i freni. Gli ultimi dieci chilometri sono, neanche a dirlo, controvento. Mi rassegno alla solita tribolazione, in attesa che arrivi l'ennesimo treno cui agganciarmi. Il primo disponibile è proprio piccolo, ma meglio di niente. Procediamo a testa bassa lungo il rettilineo che porta ad Andora e, alla deviazione per Colla Micheri, non essendoci alcun volontario a presidiare l'incrocio, segnaliamo la manovra di svolta col braccio sinistro. Le auto rallentano e ci permettono di imboccare la stradina che, dopo 2 km, ci condurrà al traguardo.
La strada, adesso, corre in piano, per poi scendere di nuovo in mezzo agli uliveti, andando, infine, ad incrociarsi, dopo un'ampia curva a sinistra, con quella principale che ci condurrà, in circa 8 km, a Garlenda. Continuando, invece, verso destra si raggiungerebbe il Passo del Cesio. Sono sola già da un po' di tempo e il vento contrario è davvero fastidioso. Al paese c'è la deviazione a destra per il passo del Testico. Siamo più o meno intorno al 78° km. Dopo il campo sportivo la strada s'inclina subito verso l'alto. Arranco con fatica, sono stanca, ma l'ambiente che mi circonda è splendido e mi aiuta a distrarre la mente. A bordo strada cespugli di mimosa, lavanda e rosmarino. Nei boschi una profusione di narcisi bianchi e gialli. La primavera è già alle porte. Eppure, quelle cime innevate, che si stagliano all'orizzonte, non sembrano molto distanti da qui. Passo per i borghi di Paravenna e Caselle. Dopo circa 7 km la strada spiana e s'incrocia con quella che, a sinistra, scende ad Alassio. Io, invece, svolto a destra e percorro altri 5 km in falsopiano, facendo attenzione ai polli che attraversano la strada nei pressi di un'azienda agricola. Il primo tratto di contropendenza inganna. La vera discesa, infatti, inizia dopo un altro breve tratto di salita, al 90° km. Poi, finalmente, giù, a rotta di collo. Ancora venti chilometri. Le curve, ampie e dolci, invitano a mollare un po' i freni. Gli ultimi dieci chilometri sono, neanche a dirlo, controvento. Mi rassegno alla solita tribolazione, in attesa che arrivi l'ennesimo treno cui agganciarmi. Il primo disponibile è proprio piccolo, ma meglio di niente. Procediamo a testa bassa lungo il rettilineo che porta ad Andora e, alla deviazione per Colla Micheri, non essendoci alcun volontario a presidiare l'incrocio, segnaliamo la manovra di svolta col braccio sinistro. Le auto rallentano e ci permettono di imboccare la stradina che, dopo 2 km, ci condurrà al traguardo.
Per
la cronaca, ho impiegato 17 minuti in più dell'anno scorso, ma
quest'anno i tempi si sono dilatati un po' per tutti, perciò, come si dice, "mal
comune, mezzo gaudio". Se, poi, consideriamo che, dei 3300 ciclisti al via, 1000 si sono ritirati, non posso che essere soddisfatta di aver percorso, ai primi di febbraio e con scarso allenamento, 110 km e 1865 metri di dislivello in 4 ore e 56 minuti.
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