Perplessità ... |
Dopo
complesse trattative, riusciamo a strappare a Riccardo un orario più
umano per la partenza. Sondrio dista 175 km; con la superstrada ci si
arriva in circa due ore e la gara inizierà soltanto alle 9. Così
alle 5 ci mettiamo in viaggio: Riccardo e Pierino sul furgone; io,
Francesco e la Patty sulla Passat guidata dal nostro simpatico
presidente, il quale, con grande positività, ignora la spia luminosa che,
tutto ad un tratto, si accende sul cruscotto: “motore in avaria”.
Nel cielo poche nuvole fanno ben sperare. Lungo il tragitto Bruno ci
fa da Cicerone: ecco alla nostra destra la strada che sale a Valcava;
quello che stiamo costeggiando è il lago di Garlate, primo troncone
del lago di Como; più avanti, sull’altra sponda, il Ghisallo; là
in fondo, a destra, sotto quel cielo tempestoso, la Valsassina e la
strada per Culmine San Pietro; alla nostra sinistra i vigneti che
producono vini di gran rilievo, quali Sassella, Inferno, Grumello,
Prestigio e Sforzato. E’ proprio un pozzo di sapere il nostro
presidente ed io non mi lascio sfuggire una parola; come una spugna,
assorbo ogni informazione. Quanto vorrei anch'io dare un nome a tutto
ciò che vedo! Man mano che risaliamo la Valtellina, però, notiamo
che lo scenario attorno a noi non è dei più felici. Nuvole basse
ricoprono i pendii delle montagne, il cielo è livido e gonfio di
pioggia. All’uscita di una galleria uno scroscio violento e
improvviso si abbatte sulla nostra vettura, facendoci sobbalzare. Ho
la vaga idea che oggi non ce la passeremo molto bene. Anche la temperatura si è abbassata
notevolmente. Il termometro del bar dove ci fermiamo per far
colazione segna 7 gradi; questo tempo da lupi non è certo l’ideale
per correre una Gran Fondo. Riccardo medita di non partire e vedo
Francesco perplesso. Solo in questo momento vengo a sapere che il
regolamento della Coppa Lombardia prevede, comunque, lo scarto del
minor punteggio conseguito nelle gare del circuito e, quindi, i miei
due compagni stanno valutando se effettivamente val la pena di
buttarsi sotto la pioggia per una gara che poi, con molta
probabilità, verrebbe scartata.
Io come sempre casco dal pero. Sarà
veramente questa la mia peggior corsa? Non che nelle altre io sia
stata poi così brillante. Comunque, visto che di punteggi non ci
capisco niente e che della classifica non me ne può fregar di meno,
per me il problema non si pone. Nello sport come nella vita mi
interessa soltanto portare a termine quello che ho iniziato e se le
prove sono 7 io cerco di farle tutte e 7, con il bello od il cattivo
tempo. Perciò, se l’organizzazione dice che la gara si può fare,
io ci provo. Mi dispiacerebbe però lasciare cinque persone ad
attendermi per ore solo perché io mi sono impuntata. Ad arginare
ogni indecisione dei miei compagni, uno squarcio nel cielo cupo, un
triangolo di luce. Inaspettato, uno sprazzo di sole irrompe dalle
nuvole, creando un bellissimo arcobaleno; “l’occhio di Dio”
scherza la Patty. E se è Dio che lo vuole …
Riccardo ... sta studiando la sua tattica di partenza |
Ci prepariamo io,
Francesco e Riccardo. Bruno e Pierino faranno il giro con
l’”ammiraglia”, mentre la Patty attenderà i primi arrivati con
le chiavi del furgone. Una mezz’oretta prima della partenza ci
avviamo verso le griglie, pressoché deserte. In effetti, del
migliaio di partecipanti previsti, risultano iscritti poco più di
700 ciclisti e ne partiranno soltanto 526, tra cui 20 donne, delle
quali io devo essere quella con più primavere alle spalle. Di fianco
a me Olga Cappiello, ex professionista, non più giovanissima neanche
lei, ormai da anni dedita alle Gran Fondo e che si cimenta nei
percorsi lunghi, arrivando quasi sempre prima tra le donne. Davvero
forte. Oggi, invece, il percorso lungo è stato soppresso a causa
dell’impraticabilità della strada che sale a Santa Cristina e
tutti correremo il medio di 90 km e circa 1100 metri di dislivello.
Nel giro di pochi minuti il cielo si ricompatta e ricomincia a
piovere. Che beffa! Non manca molto alla partenza. Ecco Bruno; il suo
passaggio è ormai diventato un gesto scaramantico. La colonna sonora
di “Sogni di gloria” cattura la mia attenzione … farà da
sottofondo al conto alla rovescia. Mi emoziono. Sono qui anch’io,
piccola ciclista, in mezzo a tanti campioni. Aggancio il pedale
destro: 3, 2, 1 … pronti via. Velocità controllata per 1 km e
mezzo. E allora che senso ha partire a manetta? Come a Laigueglia, è
tutto un andare e frenare, con la differenza che qui piove e
l’asfalto è viscido. Alla prima inchiodata per poco non faccio un
testacoda con la bici. Mi basta questo per lasciare andare avanti
tutti, che poi non sono molti. Una voce dall'inconfondibile accento
milanese precede l'arrivo di Hiroshi. “Dài, la facciamo insieme”,
mi dice tranquillo. Ciò significa per me la morte certa. Ci pensa il
destino, nella frazione di pochi secondi, a decidere per me, creando
un mega ingorgo all'imbocco di una rotonda, nel quale perdo di vista
il mio prode cavaliere, che sparisce tra la folla di ciclisti.
Grazie, comunque, Hiroshi per le tue buone intenzioni. Com'era
prevedibile, rimango sola. Ho davanti a me 24 km di statale, lunghi e
in leggera pendenza, che affronto con l'incubo di forare. Domenica
scorsa alla Gran Fondo delle Valli Bresciane, poco dopo l'arrivo, le
gomme si erano afflosciate improvvisamente con un lungo sibilo e così
pure martedì, mentre salivo ai Colli di S. Fermo. Ad ogni
imperfezione dell'asfalto, sussulto; con le orecchie tese ascolto il
rumore delle ruote. Basta! Devo scacciare il pensiero, non posso fare 90 km
con quest'ansia addosso.
Francesco e il suo casco antipioggia |
Mi superano alcuni ciclisti. Approfitto
dell'occasione e accellero per mettermi a ruota. Poco dopo, il
ciclista alla testa del gruppetto cede il suo posto al secondo della
fila, mettendosi in coda e così via, finchè, inesorabilmente, arriva anche il
mio turno. Cosa faccio, mi defilo ignobilmente come sempre,
confidando nella loro comprensione? Quantomeno ci devo provare,
giusto per dimostrare la mia buona volontà. Il fatto che mi risuperi
subito uno dei miei colleghi non lascia adito a dubbi sulla
mediocrità del mio intervento. Mi sposto di lato per lasciar passare
gli altri, ma mi accorgo che siamo rimasti solo in tre. Com'è
possibile? Non sarà stato per colpa mia … Bravissimi i miei due
colleghi; alternandosi regolarmente riescono a raggiungere Tirano in
un tempo più che buono, considerato che la pioggia continua a
cadere, incessante. Giriamo a sinistra e ci immettiamo su una strada
secondaria. Uno dei due ragazzi va più spedito rispetto all'altro,
che tende a staccarsi. Io rimango incollata come una sanguisuga a
quello che avanza con più energia. Ogni tanto si gira; non capisco
se gli dia fastidio la mia presenza oppure se controlli che io ci
sia. Scusa, ma ho deciso che sarò la tua ombra. Però è carino, mi
segnala le buche e i vari ostacoli sulla strada, segno che mi
tollera. Una piccola risalita e poi una breve discesa. Mi sembra di
scivolare sul burro. Chissà se saper pattinare mi sarà d'aiuto oggi
... Mi aspetto di venir superata dal gruppetto che, nel frattempo, ci
aveva raggiunti e invece nulla. Anche il mio gregario rimane
indietro. O sono eccessivamente prudenti loro o io sto osando un po'
troppo.
Ci reimmettiamo, quindi, su una strada trafficata e, dopo
circa 8-9 km, giungiamo a Tresenda. Imbocchiamo, poi, il bivio a destra
per Teglio, località nota
per l'accademia del pizzochero e perchè, pare, abbia dato origine al
nome di questa valle. 5
km (pendenza media 7%, max 9%, dislivello 350 metri) che scorrono
veloci, chiacchierando con il mio giovane collega, il quale, però, ha
un passo più rapido del mio e, quando scolliniamo, mi ha staccata di
qualche decina di metri. Come promesso, ecco Bruno e Pierino ad
attendermi e a fare il tifo per me sotto la pioggia; che carini! Ti
aspettiamo al Triangia, grida Bruno, affiancandosi poco dopo con
l’ammiraglia. Passo davanti al ristoro e procedo su un falsopiano,
dove mi aggrego ad un gruppo di novatesi. Scendiamo, poi, tutti
insieme dall'altro versante e tutti insieme affrontiamo i 22 km di
mangia e bevi fino a Sondrio, passando per Ponte in Valtellina,
Tresivio, Poggiridenti e Montagna, su una strada panoramica che corre
alta sulla valle. Stiamo, infatti, ritornando verso la città, ma, poco prima di giungervi, giriamo a destra per salire a
Ponchiera. Piano, piano, i miei compagni si allontanano e mi ritrovo
a percorrere i successivi 3 km (pendenza media 9%, max 12%,
dislivello 350 metri) in completa solitudine. La strada è stretta e
abbastanza ripida; poi, dopo il paese, spiana, ma l'asfalto, per un
breve tratto, presenta tante, piccole rosicchiature, che rendono un
po' malagevole il passaggio in bici. Supero un ponte in pietra su un
impetuoso torrente dalle acque torbide e marroni a causa della terra
trascinata durante la sua corsa e, subito dopo, un altro ancora, che
attraversa un corso d’acqua più piccolo. Pedalo in mezzo al verde,
il canto degli uccellini a farmi compagnia. Che pace e che
meraviglia, nonostante il maltempo! Ancora 4-5 km di discesa fino a
Mossini e poi, all'improvviso, uno strappo a destra da far paura.
Leggo sul cartello: Triangia, 5 km, pendenza media 7,4%, max 9%,
dislivello 350 m. Un posto molto bello, tranquillo. Mi accorgo adesso che ha smesso di piovere. A metà strada,
però, mi sembra di fare una fatica sproporzionata rispetto alla
difficoltà della salita che sto affrontando. Mi affianca un'auto. Un
signore mi chiede se voglio riposare. Lì per lì non capisco, ma poi
realizzo cosa intende: se con una mano mi aggrappassi al finestrino
aperto, potrebbe “darmi un passaggio”. A me??? Non se ne parla
nemmeno!!! A costo di arrivare in cima con la lingua per terra. E’
mezzogiorno quando scollino; le campane del paese suonano a festa.
Non vedo nè Bruno nè Pierino. Strano, Bruno è uno che mantiene la
parola data. Forse che da qualche parte hanno organizzato un ristoro
con degustazione di vini e pizzoccheri? Mi guardo in giro, ma non
vedo nulla del genere. Mi rammento dell'ambulanza
incrociata fra Teglio e Sondrio che correva a sirene spiegate. Non
sarà successo qualcosa ai miei compagni ... Ma che vado a pensare …
semplicemente l’ammiraglia sarà in panne da qualche parte. Inizio
la discesa, ma m’imbatto all'improvviso in nuvole basse che
limitano la visibilità a poco più di 20 metri. Non vedo i tornanti,
non vedo niente. Fa freddo e la bici va un po' dove vuole lei.
Rallento sensibilmente, finchè, scendendo di quota, la nebbia si
dirada. Passo attraverso piccoli, splendidi borghi antichi, dalle
strade anguste, fiancheggiate da case in pietra, tipiche della
Valtellina e finalmente li vedo, i miei angeli custodi, in piedi e al
freddo, ad attendermi con lo scatto pronto. Tiro un sospiro di
sollievo. Non è successo niente di quel che immaginavo, per fortuna.
Semplicemente ogni accesso a Triangia era sorvegliato dai volontari
ed interdetto al traffico motorizzato. Rido nel vedere Bruno venirmi
incontro, a passo da bersagliere, con la macchina fotografica. Mi
chiede se va tutto bene. A dir la verità mi sento come se m'avesse
investito un autotreno, ma, convinta, di arrivare a Sondrio in
discesa, rifiuto la barretta che mi offre e che potrebbe ridarmi un
po’ di energia.
Poco dopo la strada spiana e diventa un po'
sconnessa. Guado un'immensa pozzanghera che occupa l'intera sede
stradale, supero Castione, Andevenno, Postalesio, Berbenno e
attraverso il grande ponte sull'Adda. Sono stanca e sola ormai da
parecchio tempo. Mancano una dozzina di chilometri a Sondrio e non
sono certo in discesa, come stupidamente avevo pensato. Il vento
contrario, seppur non fortissimo, a questo punto mi sembra la Bora
che soffia a Trieste. Ma ecco la manna dal cielo, che si manifesta
sotto forma di un ciclista di Iseo. Mi offre gentilmente le sue
ruote. Anche lui, mi dice, non si è mai sentito così stanco. Mi
metto al riparo delle sue possenti spalle, finchè non ci imbattiamo
in due ciclisti del posto, che prontamente si piazzano davanti a noi. "Se non vi offendete vi diamo una mano".
Figurati se mi offendo. Ecco il cartello dei 10 km e poi quello dei
5. L’ingresso in città. Sono così stravolta che a fatica
riconosco la Patty, che mi sta aspettando all’arrivo con le chiavi
del furgone. Poveretta, chissà da quanto tempo è lì per me …
spero almeno di averla ringraziata.
Saluto e mando un bacio ai due
valtellinesi che ci hanno scortati. Devo dire che, se nella vita di
tutti i giorni m’imbatto spesso nell’indifferenza e nella
freddezza del genere umano, ciò non avviene, salvo rare eccezioni,
nell’ambiente ciclistico ed è anche per questo che amo questo
sport.
Ma non finisce qui. Sulla strada di casa, durante una sosta al bar, si apre il sipario ed ha inizio lo
spettacolo. Bruno telefona a Roberto, oggi in tutt’altre faccende
affaccendato, per comunicargli il suo 5° posto di categoria. La
vittima della burla, poco convinta, si affretta a chiamare Pierino
per una conferma, il quale, con dovizia di particolari, inizia ad
imbastire un racconto molto colorito sulla gara e, rincarando la
dose, si assegna pure lui un 3° posto in classifica. Certo che la
fantasia non gli manca proprio! Mi metto nei panni del nostro
adorabile capitano e immagino la sua espressione sbalordita all’altro
capo del filo. Forse sta rimpiangendo di non essere venuto con noi
oggi; se Bruno è arrivato 5°, lui, avrebbe potuto ambire
sicuramente al primo posto. Si starà rodendo il fegato per questo ed
io vorrei che qualcuno alla fine gli dicesse: “Sorridi, sei su
scherzi a parte!!!”. Invece quelle simpatiche canaglie glielo
lasciano credere … ma fino a quando, povero Roberto?
In
conclusione:
77°
Gavazzeni Riccardo – 2:42:19 – 5° cat.
147°
Belotti Francesco – 2:47:44 – 5° cat.
510^
Tintori Emanuela – 4:01:20 – 8^ cat.
Riccardo: il primo a destra |
Francesco: il secondo da sinistra |
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