(89
km – 1861 metri di dislivello)
Alle 5,30 di un sabato caldo e afoso di inizio agosto, in seguito alle disposizioni impartite dall’alto, mi ritrovo seduta sul furgone tra Pierino e Roberto. Sull’auto davanti a noi, a fare da apripista, Bruno, il vigile Pagani e il giovane Alessandro. Neanche il tempo di fare due parole e siamo a Edolo, in Valcamonica. Incredibile come voli il tempo a volte. Nel solito caos dei preparativi, mi scappa l'occhio su un borsone nero appoggiato accanto ad una vettura parcheggiata poco distante. Leggo ad alta voce “Team Tex” e tutti si girano ad osservare l'amico Francesco, testimone, suo malgrado, della nostra cagnara. Lui farà un giro molto più impegnativo del nostro: affronterà i due mostri, Gavia e Mortirolo dai versanti più ostici. Noi ci accontentiamo del Passo dell'Aprica e del Mortirolo o Passo della Foppa. Uno scambio di auguri e, poi, partiamo. E' la prima volta che salgo all'Aprica in bici. Questa strada l'ho sempre percorsa in discesa, durante la Granfondo Giordana, ex Pantani, concentratissima tra migliaia di ciclisti, e non ho mai badato alla sua difficoltà. Come al solito, ci pensa Bruno a delineare lunghezze e pendenze. Sa tutto quell'uomo: non per niente è il nostro presidente. Ci mettiamo ordinatamente in fila indiana.
Qui non si scherza, il traffico è già sostenuto di prima mattina. Il buonumore, però, non manca mai ai miei compagni. Le battute spiritose e le risate si sprecano lungo questa salita, che si addolcisce sempre più man mano procediamo verso il Passo. I 500 metri di dislivello, distribuiti su una lunghezza di 15 km, in effetti, sono una passeggiata e servono, per lo più, come riscaldamento per quello che sarà il vero traguardo della giornata, ovverosia il famigerato Mortirolo.
Pur non trovandoci ad una quota particolarmente elevata, il clima qui è gradevole. Per noi padani che, in questi giorni, siamo alle prese con la canicola africana e temperature attorno ai 40° C, è un sollievo poter pedalare con l'aria fresca sulla pelle. Una volta scollinati, dobbiamo attraversare il centro incasinato di Aprica. Alberghi, ristoranti, negozi, auto e turisti a zonzo. Ci togliamo in fretta dalla baraonda e scendiamo verso la Valtellina. Come da copione, rimango presto sola ad affrontare la lunga e contorta discesa. I miei compagni si lasciano andare alla forza di gravità e spariscono alla mia vista. Bruno, però, prima si accerta che io conosca il bivio per Stazzona. No, mi dispiace, fin lì non ci sono mai arrivata. Li ritrovo tutti quanti in attesa all'imbocco della stradina che si stacca sulla destra. Scendiamo ancora e, finalmente, dopo 12 km di sensi di colpa, prima del ponte sull'Adda, giriamo a destra, costeggiando il corso d'acqua per 6 km fino a Tirano. Entriamo nel centro trafficato e, al crocevia, ci immettiamo sulla statale 38 per Mazzo. Percorsi 10 km battutissimi da ogni genere di veicolo e affrontati alcuni odiosi rettilinei in salita, arriviamo ai piedi del mostro. Da qui non si scappa. Certo che sono un'incosciente! L'invito del mio gruppo è arrivato ieri, all'improvviso, ed io, nonostante lo scarso allenamento delle ultime due settimane, non me la sono sentita di rifiutare. Queste salite da leggenda hanno una grande attrazione su di me. Ce la devo fare comunque. Parto decisa, senza indugi, inerpicandomi su per le strette vie del paese, che lascio presto alle mie spalle per entrare nel bosco.
Davanti a me ho 12,4 km e 1300 metri di dislivello da superare, ma, quello che più fa rabbrividire, è la pendenza media del 10,5%, una delle più alte d’Europa. Mi sorpassa il vigile Pagani e, poco dopo, Roberto, con suo figlio Alessandro.
Pierino evidentemente ha deciso di farmi compagnia, mentre Bruno vuole gestire al meglio le sue risorse. Dopo qualche minuto, al nostro richiamo non fa più seguito l'eco del presidente. Nessuno si preoccupa: è un osso duro, del tipo “barcollo, ma non mollo” e non è uno sprovveduto, sa quello che fa. La strada è pressoché deserta e, a quest'ora, quasi tutta all'ombra. Si sta bene, a parte il fiato un po' corto. Il cielo è limpidissimo e, incredibilmente, ogni tanto riesco anche ad alzare gli occhi dall'asfalto per guardare il panorama, che è meraviglioso. L'anno scorso ero arrivata qui con 120 km e un Gavia già nelle gambe … il panorama era l'ultimo dei miei pensieri. Oggi, invece, me lo posso godere con più tranquillità, sebbene le rampe non diano tregua. I tornanti sono 33 e numerati in ordine decrescente. Pedalo sempre seduta, dosando le forze e mantenendo regolare il respiro, finchè, come una liberazione, lascio dietro di me il tratto più duro, che, più o meno, va dal 3° al 9° chilometro, con pendenze che, in alcuni tratti, toccano il 20%.

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