Sono
circa le 7 quando lascio alle mie spalle l'area riservata ai camper.
Nessuno nei pressi del furgone dell'OMPG parcheggiato poco distante;
i miei compagni se ne sono già andati. Risalgo le poche centinaia di
metri che mi separano dalla partenza e vado ad occupare il mio posto
in griglia. Questa è la 7^ ed ultima gara del circuito Coppa
Lombardia, ma anche la più dura: 150 km e 3400 metri di dislivello,
con un Gavia e un Mortirolo da scalare. Salite che fanno paura anche ai ciclisti
più esperti, figuriamoci a me. E’ una competizione importante,
tant'è che vi partecipano corridori di tutti i Paesi del mondo e
un'autentica folla di big ... ciò non fa che aumentare la mia
inquietudine.
Alle
7,30, sulle note di We are the Champions e sotto una pioggia di
coriandoli, una colonna di ciclisti lunga un chilometro si avvia
verso il proprio destino. Non
c'è nemmeno il tempo di prendere velocità che si è già tutti col
piede a terra. L'andatura
controllata lungo i 16 km di discesa fino a Edolo e i diversi
restringimenti della carreggiata, causati dai lavori in corso, creano
ingorghi e improvvise inchiodate. Scendo con cautela e col proposito
di fare una gara tranquilla, consapevole del fatto che questa è, per
me, una prova impegnativa; sarebbe già una soddisfazione impagabile
portarla a termine … e poi lo speaker ha assicurato che ci
aspetteranno tutti, quindi, in teoria, avrei tutto il tempo.
Intanto
mi ritengo fortunata di non essere tra quelli fermi a bordo strada,
già alle prese con il cambio delle camere d'aria forate.
Il
saluto ed il sorriso di Marcello, come sempre, hanno il potere di
stemperare un po' la tensione. Quattro chiacchiere e un “in bocca
al lupo”, gridato con il cuore anche a Nicola, e poi ognuno scende
come si sente. Superato il centro abitato di Edolo e la piccola
galleria, ci dirigiamo verso Ponte di Legno, percorrendo il tratto
più estremo della Valcamonica. Due tornanti in leggera salita mi
consentono di vedere il fiume di ciclisti davanti e dietro di me. La
strada continua poi in falsopiano. Decine di colleghi ne approfittano
per una pausa tecnica. Beati loro che possono ... Dopo 7 km, al bivio
per Monno, quasi tutti girano a sinistra per affrontare il percorso
corto e rimaniamo giusto quattro gatti. Mi assalgono nuovamente i dubbi; forse sto facendo qualcosa al di sopra delle mie
possibilità. Riuscirò a concludere il giro senza stramazzare? E poi domani mattina all'alba c'è il volo per la Sicilia e subito la prima tappa
del giro dell'isola. Ce la farò? Dài Manu, abbi fede in te, scaccia ogni
pensiero e pedala. Il segreto è
tutto qui: non farsi problemi, niente se e niente ma. Mi
unisco all'unico gruppetto nei paraggi, che marcia, a dir la
verità, con passo troppo lento anche per me. Li supero con un po'
d’imbarazzo e mi ritrovo in testa a tirare. Dura poco, perchè dal
gruppetto si stacca un ciclista che evidentemente si è convinto di
poter fare di meglio. Lo seguo a ruota e insieme ci allontaniamo. E'
gentile, ogni tanto si gira per assicurarsi che io ci sia, mi segnala
gli ostacoli … ok, gli vado a genio. Due chiacchiere e i 15 km fino
a Ponte di Legno volano.
Dopo il paese la pendenza aumenta, ma di
poco. Un paio di chilometri ed ecco il bivio per il Passo Gavia.
Svoltiamo a sinistra. Breve discesa, un tratto in piano e poi ci
siamo, inizia la prima scalata. 17 km e 1.363 metri di
dislivello. Dico al mio compagno di viaggio bresciano di non badare a
me e di salire con il suo passo. Lo vedo esitare, ma, poi, piano
piano, si allontana. Io ho deciso di risparmiare le gambe. Innesto la
ridotta e mi guardo il panorama, che ormai comincio
a riconoscere: è la terza volta in due anni che scalo il Gavia e mi
piace da morire. Da qui a S. Apollonia ci sono 5 km al 6-8%. Poi,
dopo una rampetta all’11%, la pendenza si addolcisce per un breve
tratto. Un altro strappo al 14% e poi continua mantenendosi tra
il 6 e l’8%, con punte al 9%.
Man mano che salgo, il panorama
diventa via via sempre più grandioso, la vista allietata da un
abbagliante ghiacciaio che mi occhieggia dalla parte opposta a quella
in cui mi sto dirigendo. Lo posso ben osservare mentre risalgo la
china, affrontando i numerosi tornanti che tagliano trasversalmente
il fianco della montagna. Alla mia sinistra gorgoglia il Frigidoldo,
proveniente dal Parco dello Stelvio, le cui acque, unendosi, a Ponte
di Legno, a quelle del Narcanello, che scende,
invece, dal ghiacciaio della Presena,
andranno a formare il fiume Oglio. La valle in certi punti si
restringe notevolmente. Attraverso boschi, pinete e verdi prati dove
mucche e vitelli pascolano tranquilli. Il senso di pace e di serenità che provo in questi luoghi
è indescrivibile. Ecco cos’è il benessere per me. Nient’altro
mi può appagare tanto quanto trovarmi in questi paradisi naturali.
Il tempo passa veloce, così come i chilometri che scorrono sotto le
mie ruote. Il paesaggio cambia via via che guadagno un po’ di
quota, diventando sempre più lunare e roccioso. La galleria
mi coglie di sorpresa, sono già arrivata! All’interno si
percepisce la differenza di temperatura. Sono poche centinaia di
metri, ma sufficienti per raffreddare i muscoli. Sulla parete
sinistra, una fila di lampadine riesce con difficoltà a
gettare piccoli fasci di luce sulla corsia di destra. Non vedo
il fondo stradale che sto percorrendo, ma almeno posso individuare le
linee bianche che delimitano le due corsie, così da non perdere il
senso dell’orientamento. Presumo che questa illuminazione sia provvisoria e che, dopo la gara, il tunnel torni di nuovo completamente buio.
All’uscita dalla galleria la pendenza si
accentua leggermente, l’asfalto è un po’ malridotto e così
rimane per 2 km, fino allo scollinamento, nei pressi del Rifugio
Bonetta, a quota 2.652 metri, come pure nei successivi 2-3 km della
discesa sul versante opposto. Del resto questa zona è coperta dalla
neve per la maggior parte dell’anno ed è inevitabile che l’asfalto
si deteriori. La temperatura è gradevole e il k-way è più che
sufficiente per affrontare la lunga discesa verso Bormio. Mentre
scendo osservo lo splendido scenario di montagne ricoperte da
ghiacciai e percorse da lingue di neve candida. Una visione
spettacolare, con cascate e strapiombi. Scendo con prudenza gli
infiniti tornanti. Anche qui, in alcuni tratti, le pendenze sono di
tutto rispetto. Una decina di chilometri e arrivo al pavé del
centro di S. Caterina Valfurva. Altra discesa verso S. Antonio e
altro tratto di pavé nell’attraversamento del borgo. Poi di nuovo
giù, verso S. Nicolò e finalmente, dopo ulteriori 15 Km, sono a
Bormio. E' da poco passato mezzogiorno, non c'è più nessuno a
presidiare gli incroci. Seguendo le indicazioni per Tirano, mi
ritrovo su una strada trafficata, ma, poco dopo, al bivio, lascio a
sinistra la superstrada e imbocco una tranquilla via secondaria che
corre lungo l’argine dell’Adda, dirigendomi verso Mazzo, che dista circa 30 km. Mi fermo qualche minuto per rifocillarmi con calma e
recuperare le energie in vista di quello che ancora mi aspetta. Marco
è qui che mi attende da circa un'ora. Mi è venuto incontro
risalendo la Valtellina con la sua mountain bike e mi farà compagnia
finchè se la sentirà. Riprendo la mia corsa. Passo nell'agghiacciante, desolato tratto di
valle, dove, nel luglio del 1987, dopo un periodo di forti piogge,
quaranta milioni di metri cubi
di materiale si staccarono dal Pizzo Coppetto, una montagna di oltre
3000 metri di quota, e, precipitando a valle ad una velocità di 400
km/h, travolsero e distrussero completamente gli abitati di
Sant'Antonio Morignone e Aquilone. Pedalo
per alcune centinaia di metri su buon sterrato, alla fine del quale
mi supera un gruppetto di ciclisti. Incredibile, sono gli stessi
novatesi con i quali ho condiviso qualche chilometro alla GF Alpi. Mi
accodo felice. Con il loro aiuto sarà più facile percorrere i
restanti chilometri in leggera discesa fino a Mazzo, visto che, tra
l'altro, soffia un fastidioso vento contrario. Attraversiamo Sondalo,
con l'imponente sanatorio immerso nel verde, e Grosio, passando
ai piedi dello splendido castello medievale, con le sue torri e la
sua cinta merlata.
Ed ecco il bivio a sinistra per il Mortirolo o,
meglio, il Passo della Foppa: 12,4 km, 1.310 metri di dislivello e 33
tornanti da incubo. Il mio cuore già batte all’impazzata e non
sono ancora partita all'attacco del mostro. Eppure sono felice di
essere qui. Sto per scalare una delle salite
più dure e famose d’Europa ... non è da tutti. Si
sale subito e senza misericordia, passando tra le case di Mazzo, che
ben presto lasciano il posto ai boschi e ai prati. Il
cartello all’inizio dell’ascesa riporta anche l’altimetria, per
la maggior parte colorata di rosso, colore che indica pendenze da
ribaltamento. La strada, stretta e tortuosa, subisce un’impennata
pazzesca intorno al 31° tornante e si mantiene costantemente su
questa inclinazione, senza mai mollare, fino al 21°. Mi alzo sui
pedali, lo sguardo fisso sull’asfalto davanti a me. Non riesco a
guardare il Garmin, ma la pendenza del 18% la sento tutta nelle gambe
e nei polmoni. Ci mancava soltanto il vento contrario! Mi
rassegno alla tribolazione, ma, in fondo, sono
qui per soffrire e ciò che non uccide fortifica, almeno così pare.
Dopo il 21° tornante, il
tratto cruciale è passato, ma le pendenze rimangono elevate, non c’è
modo per poter respirare. Devo soltanto resistere, resistere e ancora
resistere.
Sorpasso incredula molti di coloro che mi avevano superato
sul Gavia, alcuni dei quali già coi piedi a terra e, con altrettanto
sgomento, osservo dei corridori che stanno scendendo in senso
contrario e non sono pochi. Che sarà loro successo? Peccato non
potermi guardare intorno, non vedere il paesaggio che mi circonda,
non riempirmi gli occhi di scenari da ricordare. Sono troppo concentrata nel mantenere respiro e ritmo di pedalata regolari.
Una
sferzata di energia me la dà il collega bresciano, che reincontro
con sorpresa al ristoro del 6° km. “Sei in gamba”, mi dice con
un sorriso. Cavoli, ma allora non sono andata poi così male!
Mi
accorgo in questo momento dell'assenza di Marco. Mi aveva annunciato
una sosta tecnica ... mannaggia l'ho perso! Continuo a salire in
compagnia del bresciano. La pendenza è sempre a doppia cifra, ma
ormai il peggio è passato. All'ottavo chilometro il monumento
dedicato a Pantani, che, su questa salita, nel 1994, da perfetto
sconosciuto, staccò tutti e vinse la tappa Merano-Aprica, entrando
di prepotenza nella storia dei migliori scalatori, mi regala una
buona dose di adrenalina. Ignoriamo il bivio per Grosio a
sinistra e procediamo verso destra. Dopo un chilometro e mezzo al 9%,
la pendenza torna a ruggire, con alcuni strappi all’11-12%. La
coltellata finale arriva poco prima di scollinare, con cento metri al
15%.
Ed ecco il cartello che indica l'arrivo al Passo. L'entusiasmo è
alle stelle. Inutile indossare il k-way adesso come fanno gli altri,
sto bene così e poi tra poco inizia un tratto di mangia e bevi che
mi farà sudare nuovamente. Una breve discesa e poi la biforcazione:
a sinistra si scende a Monno, mentre a destra si ritorna all'Aprica. Il
ciclista bresciano si ferma al ristoro, io continuo da sola. Mancano
circa 30 km all'arrivo. Affronto una breve salita e poi un falsopiano
di circa una dozzina di chilometri, intervallato da un paio di
strappetti.
E finalmente ecco la discesa vera e propria. Mi concentro e
aguzzo la vista, soprattutto attraversando il bosco: i giochi di luce ed ombra non permettono di individuare con chiarezza le buche e le
crepe dell’asfalto. Non vorrei compromettere tutto con una caduta
proprio adesso. Mi raggiungono altri ciclisti. La consapevolezza di
avercela quasi fatta ci rende tutti euforici, tanto che scoppiamo in
un'allegra risata quando, dopo aver annunciato a gran voce il nostro
arrivo ad un gruppo di persone ferme in mezzo alla strada,
una madama, forse spaventata, inveisce contro di noi gridando:
“Perché non suonate il campanello?”. E così, dopo un tempo
interminabile, mi ritrovo al bivio di fondovalle. Ancora uno sforzo,
un’ultima, breve contropendenza ed ecco il tappetino, il bip che
risuona nell'aria come una dolce armonia, i flash dei fotografi, i
loro sorrisi e i loro complimenti, addirittura il mio nome scandito
dallo speaker … E' un momento di grande emozione e soddisfazione.
La sensazione di aver fatto qualcosa di grande è bellissima. Lo so,
non c'è niente di grande nell'arrivare 934^ su 1016, ma io sono
felice lo stesso. Il mio ultimo pensiero vola a lui, al grande
campione "che sapeva animare gli animi della folla come nessun altro
ha più saputo fare".
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