Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

sabato 24 dicembre 2011

17/07/2011: Colle del Nivolet (2612 metri alt.) Piemonte - (106 km – 2220 metri di dislivello in bici da corsa)







Scalare in bici il Colle del Nivolet, 
ai primi posti per coefficiente di difficoltà nelle classifiche dei colli ciclabili, era uno dei tanti miei sogni nel cassetto. Con i suoi 2612 metri di quota è, dopo lo Stelvio, l'Agnello ed il Gavia, il quarto valico stradale italiano asfaltato: mette in comunicazione l'Alta Valle di Locana, in Piemonte, con la Valsavarenche, in Valle d'Aosta e si trova all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso. 
Avevo scoperto questa salita su una rivista di cicloturismo ed ero rimasta colpita soprattutto dalla sua lunghezza: 40 km da Locana. Chissà perché più le salite sono lunghe e più mi attraggono! 
Così, consultati più siti meteo, i quali tutti concordemente escludevano la possibilità di pioggia per questo fine settimana, venerdì sera Marco ed io partiamo subito dopo il lavoro alla volta di Pont Canavese, dove troviamo una bella area sosta per camper, gratuita, sulla riva del torrente, in Via Soana (GPS: N45.421660, E007.600410) - 12 posti - area picnic - camper service - sosta massima: 48 ore - e addirittura fornita di colonnine per l’allaccio alla corrente. Incredibile! 
L’indomani mattina, di buon’ora, inforchiamo le nostre bici e ci involiamo alla conquista del mitico colle. Non sto più nella pelle! Mi emoziono sempre quando sono in procinto di realizzare un sogno. 
Pont Canavese (476 metri s.l.m.) è un ottimo punto di partenza, perchè mi dà la possibilità di riscaldare bene i muscoli. Infatti, da qui a Locana (613 metri s.l.m) ci separano circa 10 km di falsopiano in leggera salita e sarà soltanto da quella località che cominceremo a vedere le prime pendenze significative. C'è da dire che, al momento, il panorama non è un gran che. 
Da Sparone in avanti, mentre risaliamo il corso del torrente Orco, si susseguono i paesi e le frazioni della valle, particolarmente stretta soprattutto nella parte centrale. A Locana entriamo nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Poco oltre Rosone, la strada attraversa una galleria non illuminata lunga 370 metri mentre i falsopiani cominciano ad essere intervallati da brevi e facili salite. Dopo circa 14 km da Locana, raggiungiamo Noasca (1063 metri s.l.m.). Appena fuori dal paese affrontiamo quattro ripidi tornanti con pendenze al 14%, procedendo poi in piano fino all’imbocco di una galleria, ben illuminata ed asfaltata, per la verità, ma rabbrividisco all’idea di respirare per 3,5 km il gas di scarico delle auto. Per di più è tutta in salita, ad una pendenza costante del 10%; molto meglio evitarla. Decidiamo, perciò, di percorrere la vecchia strada per Ceresole Reale, che si inerpica sul fianco sinistro della galleria per 4 km; all'inizio è sterrata e, seppur si tratti di pochi metri, preferisco scendere dalla bici per scongiurare il rischio di una foratura. Successivamente la carreggiata diventa  nuovamente asfaltata, però in molti punti il vecchio manto stradale è mancante ed invaso da terra e pietre franate dalla montagna. Man mano che si sale, la pendenza diventa più sensibile e mantenere l'equilibrio qui non è impresa da poco. Ad un tratto, tuttavia, dobbiamo per forza entrare nella galleria, immettendoci con attenzione da sinistra. Dopo circa 100 metri si potrebbe uscire di nuovo sulla vecchia strada, ma, considerate le sue pessime condizioni e visto che il traffico è scarso, decidiamo di continuare all’interno del tunnel, peraltro umidissimo, dal quale usciamo il più velocemente possibile e con immenso sollievo. Pedaliamo per alcuni chilometri su una blanda salita fino a Ceresole Reale (23 km da Locana - m. 1612 metri s.l.m.). Lungo la strada ammiriamo antiche dimore ed un ex Grand Hotel di fine '800, ben ristrutturati, testimonianza di un'epoca in cui questa località era la meta di un turismo elitario. Affrontiamo, poco dopo, una breve discesa, che ci porta quasi a lambire la sponda destra di un grande lago, oltre il quale, superate le rare case della frazione Villa, c'inoltriamo in un ambiente alpestre vero e proprio.

In falsopiano giungiamo alla frazioncina di Chiapili, dove il paesaggio diventa via via sempre più incantevole: non per niente il parco in cui ci troviamo si chiama Gran Paradiso! Abbiamo già superato 1000 metri di dislivello e mancano ancora 15 km al colle! Pedaliamo in un vallone di selvaggia bellezza, affrontando una serie infinita di tornanti, con pendenza abbastanza sostenuta, che si attenua soltanto poco prima del Lago Serrù. Oltrepassiamo la chiesetta della Madonna della Neve (m 2.275 s.l.m.), ma, dopo un chilometro e mezzo, la pendenza s'inverte e perdiamo circa 100 metri di dislivello. Perveniamo, così, ad un altro bacino artificiale: il Lago Agnel. La strada passa, ora, sopra una piccola diga, poi risale tra immense pietraie. Seguono 14 tornanti non particolarmente impegnativi e senza dubbio il panorama da quassù dev'essere qualcosa di straordinario, ma a noi, oggi, non è dato vederlo: purtroppo, mentre siamo alle prese con gli ultimi tornanti, dal fondovalle avanza, lungo il pendio della montagna e ad una velocità sorprendente, un'enorme massa grigia che tutto fagocita al suo passaggio, noi compresi. Arriviamo al Colle avvolti dalle nuvole. L'aria si è fatta gelida e piccole gocce di pioggia cominciano a bagnare l'asfalto. Mi riparo alla bell’e meglio dietro un'auto per togliere gli indumenti umidi ed indossare quelli asciutti, che, per fortuna, ho portato con me nello zaino. Non perdiamo nemmeno tempo per mangiare qualcosa; non ce la farei comunque, ho troppo freddo.


E allora giù, a rotta di collo, per la stessa strada fatta all'andata, in compagnia dei fischi delle marmotte. Scendendo di quota, il meteo migliora e in un attimo siamo di nuovo al Lago Agnel. Qualche dolore nel superare i 6-700 metri di risalita all’Alpe Agnel e, poi, ci fiondiamo di nuovo verso Chiapili. Un'altra lieve asperità per ritornare al Lago di Ceresole e, una volta lasciato alle nostre spalle il famigerato tunnel, che in discesa non pone alcun problema, in un tempo che pare brevissimo, raggiungiamo Locana e Pont Canavese. Non mi era mai successo di percorrere 50 km, quasi ininterrotti, di discese più o meno ardite. Un'esperienza inebriante! E' ancora presto e ne approfittiamo per fare un giretto nel piccolo borgo medievale di Pont: ecco l'Antica Via del Commercio, con i suoi bellissimi portici, e il Palazzo Borgarello, decorato in terracotta e ferro battuto. Davvero un piccolo gioiello! Passiamo, quindi, ai piedi della torre Ferranda e della torre Tellaria, che dominano il paesaggio dall'alto della roccia su cui poggiano; infine, non posso concludere la splendida giornata senza aver ingurgitato la mia immancabile vasca di gelato. E adesso sì che si ragiona!

mercoledì 7 dicembre 2011

10/07/2011: Anello Passo del Vivione e Croce di Salven (Lombardia) - (km 85 – 1900 metri di dislivello in bici da corsa)



(Borno – Demo – Passo del Vivione – Schilpario – Dezzo – Croce di Salven – Borno)

TRACCIA GPS: 



Il Passo del Vivione, in Valcamonica, è uno di quei valichi che ciclisti e motociclisti desiderano scalare almeno una volta nella vita. Sarà per la strada che sale quasi interamente all’ombra di un bosco rigoglioso, sarà per la sua lunghezza,  per i borghi antichi che si attraversano, per le cascate, i ruscelli, la pace che, dicono, si respiri qui (sic!); insomma, ci sono tante ragioni che lo rendono speciale e lo contraddistinguono dagli altri. La mia curiosità è davvero tanta! Ho deciso di fare il giro antiorario, per affrontare la salita al Passo dal versante migliore, che, a detta dei più, è quello camuno. Perciò, partendo da Borno, in Valcamonica, il nostro itinerario inizia subito in picchiata. Un improvviso e simpatico messaggio al cellulare mi strappa un sorriso, che mi rimarrà stampato sul volto come un’ebete lungo i 10 km di discesa fino a Malegno. La strada è tranquilla, esposta al sole; mi sento bene nel fisico e nello spirito. Subito dopo il passaggio a livello svoltiamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume Oglio e prendiamo la statale per Edolo e Ponte di Legno, che sale in leggera pendenza per circa 30 km, lungo la Valcamonica, sino al bivio per Forno Allione, da dove inizia la salita vera e propria al Vivione. Questo è il tratto più odioso, noioso e trafficato, però non c’è alternativa, lo dobbiamo subire. La strada, pur essendo a doppia corsia, è piuttosto stretta ed è impossibile ignorare il via vai di auto e soprattutto di moto. Che strazio! Di tanto in tanto scruto l’orizzonte nella speranza di scorgere qualche indicazione stradale e, dopo un tempo che mi pare interminabile, finalmente scorgo il cartello tanto agognato. Con immenso sollievo giro a sinistra, supero di nuovo il passaggio a livello e il ponte sul fiume Oglio, imboccando una stradina che inizialmente sale in mezzo ai prati e la cui larghezza massima è di 2,5 metri.
Il sollievo dura poco. Purtroppo anche qui l’andirivieni di moto è abbastanza sostenuto. Chissà perché credevo di essermi liberata dai motociclisti! Non che ce l'abbia con loro, anzi, se presi singolarmente o a piccoli gruppi, mi sono pure simpatici, ma quando sono troppi fanno davvero un gran bordello e il pericolo di farsi male è reale, soprattutto su questo stretto nastro d'asfalto. Per la verità non sono tutti uguali, ci sono quelli che guidano tranquilli e con prudenza, godendosi pure loro con calma il paesaggio e poi ci sono quelli indiavolati, che credono di correre in pista e fanno ruggire i motori, tagliano le curve e te li trovi di fronte all’improvviso. Più di una volta mi hanno sfiorata, nonostante io strisciassi come una biscia lungo il muro alla mia destra. A parte questo, i 20 km di salita da Forno Allione al Passo sono molto suggestivi: quando il traffico cessa e il rombo dei motori si allontana, possiamo pedalare nel bosco silenzioso ascoltando il gorgogliare dell'acqua del torrente e delle cascatelle. Per i primi 15 km la strada si snoda con pendenze tra il 6 e l'8%, quindi non particolarmente impegnativi, fino ad un pianoro, dopo il quale la salita diventa costantemente severa e il bosco più rado. Superato un ponte su un torrente impetuoso, alcuni tratti al 13% mi danno un po' di filo da torcere, ma mi distraggo guardando una bella cascata. Procediamo sul ripido pendio della montagna, lungo una strada tagliata nella roccia: sulla sinistra si apre un inquietante burrone, oltre ad una bella vista retrospettiva sulla Val Paisco. All'improvviso sbuchiamo in una grande sella rivestita di prati e boschetti, ma la pendenza non accenna ad attenuarsi, mantenendosi ben tosta fino a poche centinaia di metri dal rifugio. L'ambiente qui è selvaggio, con cime aspre e ampi valloni che discendono verso il valico. Sicuramente l’ascesa a questo Passo, compiuta in un giorno feriale, mi avrebbe dato un piacere diverso; purtroppo, non sempre si è liberi di scegliere e così, quando scollino, ignoro le decine di moto parcheggiate davanti al rifugio e la confusione creata dai loro cavalieri, fermatisi per il pranzo. E’ giusto mezzogiorno, la fame già da tempo si faceva sentire e lo stomaco adesso reclama. Ci spostiamo in un angolo più tranquillo e sbraniamo i nostri panini seduti sull’erba del prato. Nel frattempo il cielo si è annuvolato. In montagna il tempo è sempre così imprevedibile! Meglio non perdere troppo tempo, perché ci aspetta un’altra salita. Indossiamo il k-way e scendiamo dal versante opposto verso Schilpario. La discesa è lunga e anche qui la strada, almeno inizialmente, è molto stretta, con imponenti precipizi che fanno rabbrividire; se mi distraggo troppo potrei avere il piacere di provare l’ebbrezza del volo; ci sono tratti veramente pericolosi e le protezioni sono pressoché assenti. Scendiamo affrontando numerosi tornanti, attraversando pascoli e boschi, finchè, dopo 12 km, arriviamo a Schilpario. Giunti ad un bivio, anziché proseguire dritto sulla statale per Dezzo, giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume e prendiamo la strada a destra per Pradella e Azzone, una via alternativa e parallela alla statale, ma meno trafficata e più gradevole, la quale, dopo 8,5 km incrocia la Via Mala che da Boario Terme sale a Dezzo. E' proprio qui che, circa 90 anni fa, arrivarono 6 milioni di metri cubi d'acqua fuoriusciti dalla diga del Gleno, crollata poche settimane dopo il suo riempimento. L'acqua giunse fino al lago d'Iseo, seminando morte e distruzione al suo passaggio. Con questi sinistri ricordi perveniamo all’incrocio, ignoriamo la strada che sale al Passo della Presolana e proseguiamo verso sud per qualche decina di metri. Al bivio successivo giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul torrente e iniziamo la salita alla Croce di Salven, che ho già percorso un paio di volte in solitaria. Sette chilometri non particolarmente impegnativi, belli dal punto di vista paesaggistico e soprattutto tranquilli. Finalmente le orecchie hanno la possibilità di riposare e noi di rilassarci, prima di arrivare al parcheggio della funivia di Borno, dove io e Marco abbiamo abbandonato il camper questa mattina e dove concludiamo il nostro bell’anello di 85 km e 1900 metri di dislivello. Una doccia, un gelato e un giro a piedi nel grazioso centro storico del piccolo borgo sono la degna conclusione di una giornata tutto sommato appagante, centauri a parte.