Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso. (Luis Sepulveda)

mercoledì 7 dicembre 2011

10/07/2011: Anello Passo del Vivione e Croce di Salven (Lombardia) - (km 85 – 1900 metri di dislivello in bici da corsa)

(Borno – Demo – Passo del Vivione – Schilpario – Dezzo – Croce di Salven – Borno)

Quello del Vivione, in Valcamonica, è uno di quei Passi che prima o poi tutti, ciclisti, motociclisti, escursionisti, desiderano scalare. Sarà che la strada sale quasi interamente all’ombra del bosco, sarà per la sua lunghezza,  per i borghi antichi che si attraversano, per le cascate, i ruscelli, la pace che dicono si respiri qui (sic!); insomma, ci sono tante ragioni che lo rendono speciale e lo contraddistinguono dagli altri … e la curiosità è davvero tanta! Ho deciso di fare il giro antiorario, per affrontare la salita al Passo dal versante migliore, che, a detta dei più, è quello camuno. Perciò, partendo da Borno, in Valcamonica, il nostro itinerario inizia subito in picchiata. Un improvviso e simpatico messaggio al cellulare mi strappa un sorriso, che mi rimarrà stampato sul volto come un’ebete lungo i 10 km di discesa fino a Malegno. La strada è tranquilla, esposta al sole; mi sento bene nel fisico e nello spirito. Subito dopo il passaggio a livello svoltiamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume Oglio e prendiamo la statale per Edolo e Ponte di Legno che sale in leggera pendenza per circa 30 km, lungo la Valcamonica, sino al bivio per Forno Allione, da dove inizia la salita vera e propria al Vivione. Questo è il tratto più odioso, noioso e trafficato, però non c’è alternativa, lo dobbiamo subire. La strada è a doppia corsia, ma è piuttosto stretta ed è impossibile ignorare il via vai di auto e soprattutto di moto. Che strazio! Di tanto in tanto scruto l’orizzonte nella speranza di scorgere qualche indicazione stradale e, dopo un tempo che mi pare interminabile, finalmente scorgo il cartello tanto agognato. Con immenso sollievo giro a sinistra, supero di nuovo il passaggio a livello e il ponte sul fiume Oglio, imboccando una stradina che inizialmente sale in mezzo ai prati e la cui larghezza massima è di 2,5 metri.
Il sollievo dura poco. Purtroppo anche qui l’andirivieni di moto è abbastanza sostenuto. Chissà perché credevo di essermi liberata dai motociclisti! Non che ce l'abbia con loro, anzi, se presi singolarmente o a piccoli gruppi, mi sono pure simpatici, ma quando sono troppi fanno davvero un gran bordello e il pericolo di farsi male è reale, soprattutto su questo stretto nastro d'asfalto. Per la verità non sono tutti uguali, ci sono quelli che guidano tranquilli e con prudenza, godendosi pure loro con calma il paesaggio e poi ci sono quelli indiavolati, che credono di correre in pista e fanno ruggire i motori, tagliano le curve e te li trovi di fronte all’improvviso. Più di una volta mi hanno sfiorata, nonostante io strisciassi come una biscia lungo il muro alla mia destra. A parte questo, i 20 km di salita da Forno Allione al Passo sono molto suggestivi e, quando il traffico cessa e il rombo dei motori si allontana, possiamo pedalare nel bosco silenzioso ascoltando il gorgogliare dell'acqua del torrente e delle cascatelle. Per i primi 15 km la strada si snoda con pendenze tra il 6 e l'8%, quindi non particolarmente impegnativi, fino ad un pianoro, dopo il quale la salita diventa costantemente severa e il bosco più rado. Superiamo il ponte su un impetuoso torrente; la pendenza è cattiva, con tratti al 13%, ma mi distraggo guardando una bella cascata. Procediamo in costa con pendenza sempre dura e continua; la strada è tagliata nella roccia, sulla sinistra c'è il burrone e si gode una bella vista retrospettiva sulla Val Paisco. All'improvviso sbuchiamo in una grande sella di prati e boschetti, ma la pendenza non accenna ad attenuarsi e si mantiene bella tosta fino a poche centinaia di metri dal rifugio. L'ambiente qui è selvaggio, con cime aspre e ampi valloni che discendono verso il valico. Sicuramente l’ascesa a questo Passo, compiuta in un giorno feriale, mi avrebbe dato un piacere diverso, ma non sempre si è liberi di scegliere e così, quando scollino, ignoro le decine di moto parcheggiate davanti al rifugio e la confusione creata dai loro cavalieri, fermatisi per il pranzo. E’ giusto mezzogiorno, la fame già da tempo si faceva sentire e lo stomaco adesso reclama. Ci spostiamo in un angolo più tranquillo e sbraniamo i nostri panini seduti sull’erba del prato. Nel frattempo il cielo si è annuvolato. In montagna il tempo è sempre così imprevedibile! Meglio non perdere troppo tempo, perché ci aspetta un’altra salita. Indossiamo il k-way e scendiamo dal versante opposto verso Schilpario. La discesa è lunga e anche qui la strada, almeno inizialmente, è molto stretta, con imponenti precipizi che fanno rabbrividire; se mi distraggo troppo potrei avere il piacere di provare l’ebbrezza del volo; ci sono tratti veramente pericolosi e le protezioni sono pressoché assenti. Scendiamo affrontando numerosi tornanti, attraversando pascoli e boschi, finchè, dopo 12 km, arriviamo a Schilpario. Giunti ad un bivio, anziché proseguire dritto sulla statale per Dezzo, giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul fiume e prendiamo la strada a destra per Pradella e Azzone, una via alternativa e parallela alla statale, ma meno trafficata e più gradevole, la quale, dopo 8,5 km incrocia la Via Mala che da Boario Terme sale a Dezzo. E' proprio qui che, circa 90 anni fa, arrivarono 6 milioni di metri cubi d'acqua fuoriusciti dalla diga del Gleno, crollata poche settimane dopo il suo riempimento. L'acqua arrivò fino al lago d'Iseo, seminando morte e distruzione al suo passaggio. Con questi sinistri ricordi giungiamo all’incrocio, ignoriamo la strada che sale al Passo della Presolana e proseguiamo verso sud per qualche decina di metri. Al bivio successivo giriamo a sinistra, superiamo il ponte sul torrente e iniziamo la salita alla Croce di Salven, che ho già percorso un paio di volte in solitaria. Sette chilometri non particolarmente impegnativi, belli dal punto di vista paesaggistico e soprattutto tranquilli. Finalmente le orecchie hanno la possibilità di riposare e noi di rilassarci, prima di arrivare al parcheggio della funivia di Borno, dove io e Marco abbiamo abbandonato il camper questa mattina e dove concludiamo il nostro bell’anello di 85 km e 1900 metri di dislivello. Una doccia, un gelato e un giro a piedi nel grazioso centro storico del piccolo borgo  sono la degna conclusione di una giornata tutto sommato appagante, centauri a parte. 

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